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di Vittorio Campagna
La nave normanna lascia Salerno conducendo con sé la “prigioniera” Costanza dirigendosi verso Messina, là dove è attesa dallo stesso re Tancredi. La sua possanza d’imperatrice sembra gravare più di un corpo di stazza smisurata, quasi che le onde oppongano resistenza all’essere solcate per trasportarla; infatti, i centinaia di vogatori sudano oltre il previsto come se i flutti si rifiutassero di essere comandati dai remi, specie quando devono superare le acque traditrici di Palinuro e le acque insidiose dello stretto rappresentato da Scilla e Cariddi (vv.711-718).
L’imperatrice incontra suo nipote nella citta dello stretto. È in questo incontro che si racchiude il titolo della particola XXV: <<Domine adventus et loquutio ad Tancredum>>, ovvero, “L’arrivo dell’imperatrice e il discorso a Tancredi”. L’imperatrice, a un cenno di saluto del nipote, ricambia con noncuranza; mentre, il re con freddezza si rivolge all’imperatrice: <<Non tibi tocius sufficit orbis onor. Quid mea regna petis? Deus est, qui iudicat equum, in se sperantis vindicat acta viri>> (“Non ti bastano il rispetto del mondo intero? Perché vuoi il mio regno? C’è un Dio che giudica ciò che è giusto”) (vv.Vv.724-726). Come a dire, <<Hai già l’Impero perché ti ostini a pretendere un piccolo regno di cui, ora, ne sono il re?>>.
La pretesa di Tancredi è labile per giustificare il diritto al regno di Sicilia; infatti, non presenta prove “legali” che giustifichino la sua sovranità, ma argomentazioni privi di “diritto”; al contrario, Costanza può replicare con autorevolezza: <<Non tua regna peto, set patris iuro requiro. An tu Rogerii filius? Absit! Ego Heres regis, ego matris iustissima An tu Rogerii filius? Absit! Ego Heres regis, ego matris iustissima proles; lex patris et matris dat michi, quicquid habes>>. (“Non voglio un regno tuo, ma rivendico i diritti paterni. Sei tu forse il figlio di Ruggero? Via! Io l’erede del re, io sono legittima figlia di mia madre”) (vv.733-737)! Inoltre, aggiunge, che nessuna legge del regno ha creato Tancredi re, e solo per magnanimità gli fu concesso la contea di Lecce. Soddisfatta del confronto si ritira nelle stanze che furono di suo padre.
In realtà, tre atti legali danno ragione a Costanza; anche se con rammarico, giacché il Regno di Sicilia avrebbe cambiato dinastia (sarebbe passata agli Svevi):
Di contro, vi sarebbe stata una sola speranza per Tancredi: la rinuncia al trono di sua zia Costanza per favorire la continuità della dinastia normanna, pretesa dai “notabili siciliani” ma combattuta da feudatari legati a favoritismi personali.
Ora, mi piace spezzare una lancia a favore di Tancredi. Pur vero che è un nipote illegittimo di Re Ruggero, frutto di una convivenza del suo primogenito Ruggero, che oggi chiamiamo “coppia di fatto”; ma è anche vero che resta “sangue reale” e “normanno”; inoltre, sembra che prima di morire suo nonno Ruggero II l’avesse riconosciuto come suo nipote diretto. Infine, non è vero che <<Nam Lichium vobis gratia sola dedit>> (“Solo la benevolenza del re vi concesse infatti Lecce”) (v.740); in realtà, oltre al fatto che sarebbe stata una forma di riconoscimento di consanguineità-legittimità, la Contea di Lecce gli fu data per gratificarlo delle sue vittorie sui mari del Mediterraneo in lungo e in largo, fino all’Egeo, perché Tancredi fu un abile Ammiraglio.
P.S. La traduzione dal latino è del prof. Carlo Manzione, dal libro “De rebus siculis carmen ad honorem Augusti” a cura di Mariano Pastore; mentre l’articolo è tratto dal libro dell’autore, Vittorio Campagna: <<Pietro da Eboli, Vate latino della letteratura italiana>>, de “L’Aurore edizioni”.
N.B. La traduzione dal latino del prof. Carlo Manzione, è offerta per gentile concessione dell’ ass. ne Culturale “Ebolus dulce solum, Storia e Arte al servizio della Cultura”. .
Scritto da: Associazione Comunicare
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