La “Commissione contro l’Odio di recente istituzione, dopo i plausi iniziali quasi bipartisan, sorgono i primi dubbi su chi accerta e cosa sia da censurare o meno, quali i parametri da adottare etc. Il timore è che si crei un Minculpop buonista che in nome della tolleranza, possa, anche suo malgrado, dare vita a discriminazioni e censure alla libertà di pensiero. Il noto intellettuale, Corrado Ocone, dalle pagine del Blog del giornalista Nicola Porro, pone questi interrogativi e mostra l’ ”altra metà del cielo” della complessa faccenda, arricchendo il dibattito di interessanti riflessioni. Buona Lettura
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La Commissione contro l’Odio mette a rischio la libertà
Non sarà che con questa storia che il termine liberale sia fuori moda, ci prepariamo a perdere poco alla volta le nostre libertà essenziali? La cinesizzazione dell’Occidente è forse già alle porte se un deputato può alzarsi la mattina e proporre una “Commissione contro l’Odio” senza suscitare lo sdegno e la riprovazione della “libera stampa” (come si diceva un tempo) e della pubblica opinione. E anzi riesce pure a farla passare ai voti delegittimando moralmente chi si oppone ad essa perché o vi vede la bieca strumentalizzazione politica (che si serve in questa caso anche di una rispettabilissima vittima della discriminazione razziale) o semplicemente perché ha ancora cultura e senso liberali.
A dirla tutta, lo hate speech, soprattutto sui social, a chi scrive non piace: da vecchio (poco alla volta anche in senso anagrafico) liberale, egli crede che l’ideale regolativo dovrebbe essere sempre quello del separare le idee, su cui si può e si deve anche sparare a zero se del caso, e le persone, le quali meritano sempre e comunque rispetto indifferentemente. Non solo, sempre chi scrive considera lo hate speech stupido oltre che errato: se tu vomiti fango in continuazione, anche su aspetti irrilevanti delle questioni umane e politiche, quando poi c’è ragione di sdegnarsi più nessuno ti prenderà sul serio perché hai perso credibilità! E poi, da britannico-napoletano come formazione quale sono, penso che tante questioni spiacevoli si sistemano molto meglio con il sottile filo dell’ironia che non con il cerbero abbaiare.
Non si possono giustificare pratiche illiberali nemmeno per correggere idee illiberali; né essere intolleranti per affermare la tolleranza. Non si può, in poche parole, affermare cosa sia bene prima di stabilirlo, di volta in volta, in modo parziale e imperfetto come è proprio delle cose umane, in un libero e democratico confronto di idee e opinioni contrastanti.
Il problema è grave perché soprattutto di mentalità: proporre certificazioni di identità e di buona condotta, patentini, autorizzazioni statali e parastatali, presuppone una mentalità regolatrice che non sopporta il diverso e il non conforme. Fa cioè proprio l’opposto di quel che vorrebbe o dice di voler fare. A trenta anni dalla caduta del Muro, il muro dell’intolleranza rischiamo di ritrovarcelo in casa. Agiamo in qualche prima che tutto sembri a tutti pacifico e normale!