TRENTASEIESIMO APPUNTAMENTO CON LA RASSEGNA LETTERARIA SUL
“DE REBUS SICULIS CARMEN AD HONOREM AUGUSTI”
Di Vittorio Campagna
Particola XXX: <<Uxor Tancredi rescribit viro suo et Tancredus iterum rescribit ei >> “La moglie di Tancredi risponde a suo marito. Replica di Tancredi”.
L’ultimo verso della particola precedente conclude con l’intenzione di Sibilla di relazionare al marito il suo rapporto con Costanza. Ci troviamo a Palermo nella Reggia paterna di Costanza, ma occupata dalla nuova regina.
La lettera di Sibilla al marito è amara; formula accuse precise e da ritenerlo un irresponsabile per essersi messo contro l’Imperatore, fino a chiamarlo pazzo: <<Quid facis, o demens, Comitem misistis an hostem? Ecce, quod exarsit, ius patris hostis abet>> (“Pazzo, che fai, mi hai mandato una compagna o una nemica? Ecco perché è furiosa, lei può vantare i diritti del padre”) (vv. 897-898).
E si! È stata una pessima idea mandarla nella “Sua reggia”. È come aver anticipato il suo diritto al trono del Regno. Ogni tipo di buon rapporto potrebbe significare il riconoscimento dei suoi diritti. Fino a quando la regina resterà a Palermo è un maggior sprone per Enrico VI perché invada il regno, per prendersi lo scettro e la moglie e <<Protimus ut veniat, nullo discrimine vincet Regina: per uxorem Cesar habebit opes>> (“Appena giunto, senza alcuna difficoltà conquisterà il regno: per via della moglie Cesare prenderà il potere”) (vv.905-906).
Accusa Tancredi di aver scelto come rimedio il peggiore per curare il suo male (v.907). Per far comprendere la reatà politica e di pericolo, il poeta mette sulla bocca della regina una similitudine che ricorda parecchio quello di Menenio Agrippa, molto coerente con la realtà politica siciliana, per far comprendere al marito che trasferendo il male fisico-allegorico dallo stomaco alla testa, nel senso che quando il male (Costanza) giunge alla testa (Palermo) anche le altre membra (il regno stesso) sta male; pertanto, <<Si caput egrotet, valeant et cetera membra? Ni caput abradas, cetera membra ruent>> (“Se la testa sta male, potrebbe forse star bene il resto del corpo? Se non curi la testa, anche le altre membra andranno in rovina”) vv.911-912.
Con queste parole, Sibilla teme che la presenza di Costanza a Palermo possa far suscitare un’insurrezione o una rivolta delle altre regioni del regno per acclamarla regina del regno; è necessario, quindi, che il marito liberi Palermo della presenza ingombrante dell’imperatrice.
La risposta di Tancredi è immediata per i tempi stretti che attanagliano gli eventi; ma non da soluzioni proprie perché, per il poeta, è incapace di pensare. L’unico suggerimento è quello di rivolgersi al Cancelliere Matteo d’Aiello: <<Consule Matheum, per quem regina vocaris: illi debemus, quicquid uterque sumus>> (“Consultati con Matteo, grazie al quale sei chiamata regina: a lui dobbiamo tutto ciò che entrambi siamo”) (vv.919-920). Il Cancelliere è considerato il novello Achitofel; il quale fu consigliere di Davide prima di tradirlo per sostenere Assalonne nell’usurpazione del regno d’Israele, ma poi, finì miseramente impiccato per il suo tradimento. Lo paragona anche a Ulisse in astuzia, ma come Ulisse anche lui vivrà la sua odissea.
N.B. La traduzione dal latino del prof. Carlo Manzione, è offerta per gentile concessione dell’ Ass. ne Culturale “Ebolus dulce solum, Storia e Arte al servizio della Cultura“; mentre, l’articolo è tratto dal libro dell’autore, Vittorio Campagna: <<Pietro da Eboli, Vate latino della letteratura italiana>>, de “L’Aurore edizioni”, Torchiara 2018.