Di Vittorio Campagna
Insediatosi a Palermo, ormai, nella notte del 25 dicembre 1194, Enrico VI è incoronato re del Regno di Sicilia, ma già si ordisce una congiura contro di lui da parte dei superstiti del partito normanno a favore del figlio di Tancredi, proprio come ha illustrato la miniatura precedente e codesta attuale; ma <<Quam bene dispensant: sors bona, fata, Deus>> (“Quanto bene dispensano: la buona sorte, i fati, Dio”) (v.1334), quindi, la buona sorte, il destino e Dio fanno in modo che tutto è scoperto, come recita il titolo della Particola XLII: <<Coniuratio proditorum detegitur>> (“Viene scoperta la congiura dei traditori”); infatti, un monaco, non identificato nella miniatura, rivela i nomi dei congiurati; inoltre, <<Detegit et scriptum nocturna lampade factum, quod docet in Caypha presule posse capi>> (“Mostra anche una lettera scritta alla luce notturna, che rivela possa far capo al presule Caifa”) (vv.1337-1338), ne rivela anche il capo: appunto, il presule Caifa. Il Caifa è l’arcivescovo di Salerno, Niccolò d’Aiello, il quale avrebbe sostituito, di fatto, il deceduto padre Matteo (1193) come consigliere di Sibilla e del piccolo re Normanno.
Lo svevo, verificato i nomi dei congiurati da un documento, convoca la curia per disporre la procedura di giudizio per giudicare i traditori. Enrico VI prende la parola per denunciare soprattutto il tradimento al suo perdono a chi glielo aveva chiesto e ottenuto, come alla stessa Sibilla: <<Quis pro pace necem vel quis pro munere dampnum aut quis pro donis dampna meritur?>> ait. <<Nec Christo Cayphas fecit nec sevius Anna, Quam michi coscripte disposuere manus>> (“Chi la Morte invece del perdono o la rovina invece di benefici o di ricevere pene invece di doni merita?>> (vv.1347-1350); e aggiunge: <<Nec Christo Cayphas fecit nec sevius Anna, quam michi conscript disposuere manus>> (“Non più crudelmente agì Caifa contro Cristo, né Anna, di quanto contro di me ordirono mai assoldate”) (v.1349-1350).
E in preda alla forte delusione imprigiona i rei: <<Protinus armiferis pleno iubet ore ministris, ut capiant, quosquos littera lecta notat>> (“Subito ordina a gran voce alle guardie armate di imprigionar coloro che indica la lettera”) (vv. 1351-1352).
La congiura non sarebbe ripotata da nessun’altra fonte; inoltre Pietro non riporta i nomi dei cospiratori in questa particola ma sarebbero quelli dei versetti mancanti della particola XLI; i principali protagonisti sarebbero: Sibilla, la regina; il presule di Salerno, Niccolò d’Aiello; l’Ammiraglio della flotta normanna Margatitone; Ruggero di Tarchisio; un conte Riccardo non identificato; il conte Riccardo d’Acerra, cognato di Tancredi.
Comunque, vera, plausibile o persino inventata, la congiura fu un ottimo movente per Enrico VI che gli permise di eliminare i nemici che si sarebbero annidati nello stesso palazzo del re; un pericolo permanente al suo legittimo potere. L’imperatore agirà con grande crudeltà, specie sul piccolo Re Guglielmo III.
Abbandoniamo, ora, le atrocità per annunciare “magnum gaudium” la nascita dello “Stupor Mundi” e del “Puer Apuliae”; il più grande Re, Imperatore e Legislatore medievale che sia mai esistito: Federico II di Svevia. Italianissimo, per i suoi natali e vita vissuta. Sarà il prossimo argomento.
N.B. La traduzione dal latino del prof. Carlo Manzione, è offerta per gentile concessione dell’ Ass. ne Culturale “Ebolus dulce solum, Storia e Arte al servizio della Cultura“; mentre, l’articolo è tratto dal libro dell’autore, Vittorio Campagna: <<Pietro da Eboli, Vate latino della letteratura italiana>>, de “L’Aurore edizioni”, Torchiara 2018.
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