QUARANTANOVESIMO APPUNTAMENTO CON LA RASSEGNA LETTERARIA SUL “DE REBUS SICULIS CARMEN AD HONOREM AUGUSTI
Cultura Eboli Salerno e Provincia

QUARANTANOVESIMO APPUNTAMENTO CON LA RASSEGNA LETTERARIA SUL “DE REBUS SICULIS CARMEN AD HONOREM AUGUSTI

di Vittorio Campagna

Jesi, 26/12/1194. L’imperatrice Costanza è in viaggio dalla Germania per raggiungere il marito in Sicilia. È incinta ed è costretta a fermarsi a Jiesi per il parto. Per la circostanza, creano un palco nella pubblica piazza per il grande evento. La particola è tutto un inno al neonato Federico, come intitola la Particola XLIII: <<Frederici nativitas>> (“La nascita di Federico”); un frutto nato in piena maturità facendo gemere i sudditi: figlio dell’Italia (Esperia) e del signore del mondo, il teutonico Enrico VI, l’Augusto.

Il poeta, però, fa cadere l’accento soprattutto sull’italicità della nascita da parte di madre, rafforzato anche dall’imposizione di aggiungere il nome “Ruggero” a “Federico”; infatti, il nome completo sarà Federico-Ruggero, perché Re di Sicilia, nipote del primo re, e poi, come nipote dell’imperatore Barbarossa, suo nonno. Infatti, il poeta così si esprime: <<O votive puer, renovandi temporis etas, ex hinc Rogerius, hinc Federicus eris>> (“Tu, o fanciullo atteso, nato per rinnovare il tempo, sarai Ruggero e Federico insieme”) (vv.1377-1378).

Il poeta definisce felice il padre, Enrico, per aver avuto l’atteso figlio, indispensabile per una sicura discendenza per evitare il dramma vissuto nella successione dinastica normanno-sveva appena conclusa; infatti, la guerra civile per la successione al regno di Sicilia era stata causata dalla morte senza figli dell’ultimo re normanno Guglielmo II. È definito felice, però, anche il figlio, Federico, perché erediterà l’enorme potere dei due nonni.

Pietro estende la gioia della nascita anche alle terre d’oltre mare, agli arabi dell’Africa del nord (Tunisia), che era un possedimento del Regno di Sicilia:

<<Hoc speculatur Arabs>> (“Questo aspettano gli Arabi”) (v.1375), stanchi di pagare pesanti tributi ai normanni. Ciò valeva anche per gli Egizi:

<<Et idem suspirat  Egyptus>> (“E la stessa cosa sospirano gli Egizi”) (v.1375) per sottrarsi al potere del saladino; e il poeta aggiunge:

<<Hoc Jacob, hoc Ysaac a Daniele sapit>> (“Questo apprende Giacobbe; questo Isacco da Daniele”) (v.1376), additando Federico come a il messia tanto atteso dagli ebrei, anche se la licenza poetica avrà costretto il poeta a creare un versetto anacronistico rispetto ai personaggi Isacco e Daniele, come se quest’ultimo avesse informato il patriarca circa il messia; a meno che Isacco non vada inteso come tutto Israele, nome che prenderà dal figlio stesso di Isacco, Israele o Giacobbe.

Infine, anche la natura è felice; si ritorna ai tempi di re Guglielmo II, quando metaforicamente annuncia una pace persino fra gli animali: <<Non aquilam volucres, modo non armenta leonem, non metuent rapidos vellera nostra lupos>> (“Gli uccelli non più temeranno l’aquila, né gli armenti il leone, né le nostre pecore temeranno i feroci lupi” ) (vv. 1393-1394) e con essa tutto il creato (cielo, terra, stelle) vivrà la pace (vv.1395-1396). Il poeta si rifà molto alla profezia di Isaia 11,5-9, il quale annuncia la giustizia su tutta a terra, e gli animali, come il leone, saranno tutti erbivori e non nuoceranno gli altri animali. In conclusione, il neonato è la speranza dell’umanità. Parole profetiche, perché Federico II si mostrerà il più grande Imperatore e Re di tutti i tempi.

N.B. La traduzione dal latino del prof. Carlo Manzione, è offerta per gentile concessione dell’ Ass. ne Culturale “Ebolus dulce solum, Storia e Arte al servizio della Cultura“; mentre, l’articolo è tratto dal libro dell’autore, Vittorio Campagna: <<Pietro da Eboli, Vate latino della letteratura italiana>>, de “L’Aurore edizioni”, Torchiara 2018.