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Di Vittorio Campagna
Perché la Chiesa ha modificato il “Padre Nostro”, sostituendo l’espressione: <<E non ci indurre in tentazione>>, con <<E non ci abbandonare alla tentazione>>? In tempi recenti, durante una catechesi per adulti, alle perplessità di alcuni fedeli che si chiedevano se Dio possa tentare i suoi adoratori, presentai una risposta filologico-biblica che in questa sede ripresento in parte. La Chiesa però, nel modificare il testo, è stata spinta soprattutto da una logica catechetica; pertanto, ritengo di dover introdurre l’argomento con quest’ultimo punto di vista.
La Chiesa, sostituendo il verbo “indurre” con “abbandonare” nelle espressioni di cui sopra, ha voluto trasmettere al fedele, in forma diretta e chiara, che Dio “non induce l’uomo in tentazione”; ovvero, “non tenta” l’uomo per metterlo alla prova. Dio non ha niente a che fare con il male, come insegna la lettera di San Giacomo, quando afferma: <<Nessuno quando è tentato dica “Sono tentato da Dio”; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male. Ciascuno è piuttosto tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce>> (Gc 1, 13-14). Ritengo, pertanto, che la modifica ex Cathedra abbia voluto togliere ogni dubbio al fedele, privato oggi di una vera mistagogia formativa, sulla bontà assoluta di Dio.
Se la “lectio catechesis” soddisfa l’esigenza dogmatica, non si può dire la stessa cosa della “lectio ad litteram” perché i termini sia in greco sia in latino lasciano poco spazio a interpretazioni diverse da ciò che essi esprimono. Possiamo definire la “modifica”, in questo caso, una “traduzione a senso”. Il termine greco, infatti: “eis-enegkes (eis-fero) significa: “porto”, “reco”, “metto in (dentro)”, “introduco”, “trasporto” (Rocci); e il suo corrispondente latino: “induco (inducere)”: “condurre dentro”, introdurre”, ma mai “abbandonare”. Ora, poiché il soggetto, nella preghiera, è il “Padre Nostro”, sarebbe Dio stesso a introdurre in noi la tentazione; stando “alla lettera”.
È così? Certamente no! In nessuna parte della Bibbia, infatti, si può dedurre un pensiero così perverso; anche nei testi più scottanti di Giobbe; i quali trasmettono il significato di “concessione alla tentazione” da parte di Dio, pretesa da Satana. È un atto “deduttivo”, non “induttivo” della tentazione che colpisce l’uomo, per lo più vittima dei suoi stessi insani desideri. Il libro di Giobbe manifesta chiaramente la “fonte” della tentazione: Satana, e per ben due volte.
Per conoscere il pensiero di Dio si deve comprendere il contesto, quando rimprovera Satana: <<… Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra… uomo timorato di Dio… “TU mi hai spinto contro di lui per rovinarlo, senza ragione>> (2,3). È evidente che, chi prende l’iniziativa alla tentazione (a insaputa di Giobbe) è Satana; Javè cede alle richieste di satana, obbligato dal libero arbitrio, senza il quale l’uomo diverrebbe un automa. Dio, al contrario di Satana, già conosce il cuore dell’uomo; non ha motivo di metterlo alla prova. La nota interessante è che per ben due volte Javè, pur permettendo la tentazione, salvaguarda il limite di sopportazione di Giobbe: <<Non stendere la mano su di Lui>> (1,12)… <<Risparmia la sua vita>> (2,6), anticipando il pensiero di I Cor. 10,13: <<Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze>>. Il nostro è un Dio d’amore e non gioca con la nostra fede.
Meriterebbero un approfondimento anche i testi di Rm 9,17 (Dio e il Faraone) e il capitolo quattro di Matteo e Luca (circa le tentazioni di Gesù); ma lo spazio editoriale non lo permette.
Scritto da: Associazione Comunicare
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