Pietro introduce la sua poetica con la Carta 2, che corrisponde alla prima miniatura del Carme; la quale a tutti gli effetti, se interpretata bene, si presenta come introduzione a tutta l’opera.
Alcuni esegeti affermano che <<Né le figure, né le legende di questa “tavola” hanno rapporto con il poema>>. In realtà, non è così. La miniatura raffigura tre poeti della classicità: Virgilio, Lucano e Ovidio; in apparenza senza alcun legame con l’opera del “Chierico”; ma a mia veduta, pur soggettiva, ma con scarso margine di errore, ritengo, invece, che i disegni riprodotti facciano comprendere preventivamente e a perfezione l’arte petriana. Le tre figure sono strettamente legate alla sua poetica avendo voluto incarnare le stesse finalità dei tre poeti latini: raccontare gli eroi e i miti attraverso la poesia, e trasferire lo spirito delle loro opere in quella propria. In definitiva, i versi che esamineremo hanno un perfetto parallelismo con l’opera dell’Ebolitano.
Virgilio
Col primo disegno in alto a sinistra Pietro ha raffigurato Virgilio con un rotolo in mano in cui è riportato il verso iniziale dell’Eneide e il verso 490 del secondo libro delle Geogiche:
<<Arma virumque cano Troie qui primus ab oris…. Felix qui potuit rerum cognoscere causas>>; ecco anche la traduzione: <<L’armi e l’eroe canto che per primo da Troia ai liti (d’Italia venne) … Felice chi ha potuto conoscere le cause delle cose>>.
L’attinenza tra i versi di Virgilio e il contenuto dell’opera di Pietro è molto stretta; infatti, come emerge dal primo verso dell’Eneide, Virgilio canta l’eroe, Enea, e le armi che hanno permesso di prendere possesso della Valle Tiberina e del Lazio; che da suo figlio Julio sarebbero discesi, poi, Romolo e Remo; il primo avrebbe fondato Roma e da lui sarebbe sorta la Gens Jiulia, la quale avrebbe dominato il mondo da Giulio Cesare in poi. Il verso delle Georgiche, invece, fa riferimento allo stesso Virgilio perché come poeta e filosofo ha avuto la gioia (felix) di investigare (cognoscere) sulle cause delle cose, come sull’origine (nel caso specifico) della Gens Julia e la fondazione della Città di Roma, futura padrona del mondo.
Pietro ha trasferito nella sua opera e su di se lo spirito dell’opera virgiliana. Il poeta medioevale canta l’eroe del suo tempo, Enrico VI (Enea), dal quale sarebbe nato Federico II (Julio) che avrebbe dovuto conquistare il mondo e governarlo; pochi sanno, infatti, che il primo nome scelto per il futuro Imperatore fu quello matronimico di Costantino, anche in riferimento all’ultimo simbolo della grandezza e dell’unità dell’Impero Romano; solo in un secondo momento il “Puer Apuliae” fu chiamato Federico-Ruggero, un rafforzativo che stava ad indicare la legittimità di Re di Sicilia in quanto erede diretto dei suoi nonni (Federico I Barbarossa e Ruggero II).
Inoltre, Pietro, incarnando Virgilio, ha attribuito a se medesimo anche le parole del verso 490 delle Georgiche; perché come vate del suo eroe, Enrico VI (Enea di Virgilio), della moglie Costanza D’Altavilla (Creusa, moglie di Enea) e del figlio Federico II (Julio, figlio di Enea e di Creusa) ha avuto modo di investigare (cognoscere) e conoscere le cause degli avvenimenti che lui racconta come “cronista” proprio del tempo sugli Augusti Imperiali; e per questo si dichiara felice (felix) come felice è stato Virgilio, nell’aver indagato sulla Gens Julia.
In conclusione, poiché l’opera di Pietro è da definirsi anche un poema epico, ritengo in maniera certa che l’Eneide di Virgilio abbia anche ispirato il <<De Rebus Siculis Carmen Ad Honorem Augusti>> a Pietro. Pertanto, l’interpretazione del primo disegno, che ha come oggetto Virgilio, sia coerente e in parallelo con la poetica dell’Ebolitano.