IL M.E.S. DOVRÀ ESSERE RATIFICATO ENTRO IL 31 DI DICEMBRE, MA ANCORA MOLTO POCO SI CONOSCE SU QUESTO TRATTATO INTERNAZIONALE CHE POTREBBE NASCONDERE DELLE INCOGNITE PER IL SISTEMA PAESE.
ARTICOLO TRATTO DA LA VOCE INFO
https://www.lavoce.info/archives/62271/meccanismo-di-stabilita-e-il-caso-di-allarmarsi/
l nuovo Trattato sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes) sta per essere sottoposto ai parlamenti nazionali per la ratifica. Accolto senza obiezioni da tutti i partiti a giugno, ora suscita allarme. Chiariamo qui gli aspetti positivi e i punti critici.
La riforma del Mes
Dal comunicato del presidente Mario Centeno al termine della riunione dell’Eurogruppo del 7 novembre scorso si evince che il negoziato sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (European Stability Mechanism-Esm) è ormai in fase molto avanzata. Il testo del Trattato, così come emendato a giugno, non è più in discussione ed entro dicembre dovrebbero essere approvati dai governi anche tutti gli allegati (per esempio, il memorandum sui rapporti con la Commissione europea). A gennaio dovrebbe quindi iniziare il processo di ratifica da parte dei parlamenti nazionali.
Nel giugno scorso, quando fu reso noto il testo del nuovo Trattato, in Italia nessun partito politico sollevò obiezioni rispetto al merito della riforma; i sovranisti tuttavia continuavano a pretendere l’abolizione del Mes. La richiesta, oltre a essere avulsa dal dibattito europeo, non teneva conto del fatto che il Mes è un’istituzione molto utile perché svolge la funzione, assolutamente essenziale, di prestatore di ultima istanza nei confronti degli stati dell’Eurozona. Ha infatti un capitale di ben 704 miliardi di euro, di cui 80 versati, è già oggi il principale emittente di obbligazioni in euro – il che gli consente di erogare prestiti per un multiplo del capitale – ed è la porta di accesso, ancorché non automatica, alle Omt (outright monetary transactions) della Banca centrale europea, il cui ammontare è teoricamente illimitato.
Di fronte delle critiche dei sovranisti, va anche ricordato che il Mes rappresenta oggettivamente una manifestazione di solidarietà dei paesi più solidi dell’Eurozona nei confronti dei paesi più esposti alle crisi. La Germania, con una quota del 26,9 per cento, è di gran lunga il principale contribuente, anche se è del tutto improbabile che possa mai avere bisogno di assistenza. L’Italia contribuisce con una quota del 17,8 per cento (14 miliardi di capitale versato).
Va anche detto che nella nuova versione del Trattato non è stata inserita l’ipotesi preferita dai rigoristi del Nord Europa, a cominciare dal presidente della Bundesbank Jens Weidmann: la ristrutturazione automatica e preventiva del debito pubblico dei paesi che si rivolgono al Mes. La riforma prevede invece che lo stato che chiede l’intervento del Mes sia sottoposto all’analisi di sostenibilità del debito (un esercizio che non può non contenere ampi margini di discrezionalità) e, solo in caso di esito negativo, sia tenuto a ristrutturare.
Le preoccupazioni italiane
La ristrutturazione non è quindi automatica, ma dipende dall’esito delle valutazioni sulla sostenibilità. Rimane il fatto che, se la valutazione è negativa, la ristrutturazione deve essere preventiva, ossia deve precedere l’erogazione degli aiuti perché il Mes li garantisce “solo a paesi i cui debiti sono giudicato sostenibili”. È una possibile criticità per un paese ad alto debito come l’Italia e contribuisce a spiegare la preoccupazione espressa nei giorni scorsi dal governatore della Banca d’Italia. Nel complesso, i timori relativi alla riforma possono essere così riassunti:
- viene ribadito con forza, nove anni dopo il guaio della famosa passeggiata di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy a Deauvile, il concetto di Psi (private sector involvement), una perifrasi per ristrutturazione del debito;
- vengono attribuiti al Mes, che è un’istituzione intergovernativa esterna al perimetro dell’Unione Europea e non sottoposta al vaglio del Parlamento europeo, poteri molti ampi che si sovrappongono a quelli della Commissione sull’intera materia della analisi e valutazione della situazione economica e finanziaria di tutti i paesi dell’Eurozona, non solo di quelli sottoposti a un programma di aggiustamento;
- si specifica che il mandato del Mes si distingue da quello della Commissione perché il primo svolge le proprie valutazioni “from the perspective of a lender” (“dalla prospettiva di un creditore”) e avendo riguardo alla capacità del debitore di restituire il prestito, il che comporta, in sostanza, che il Mes avrà il coltello dalla parte del manico e che, a differenza di tutte le istituzioni comunitarie, non avrà il mandato di operare nel comune interesse dell’Unione;
- si sottolinea che il Mes presta assistenza solo a paesi con debito sostenibile – il che significa che chi ha un debito giudicato insostenibile deve preventivamente ristrutturare;
- si chiede agli stati membri dell’Eurozona di introdurre nei titoli di nuova emissione le clausole contrattuali dette “single limb”, che consentono di ristrutturare l’intero debito di un paese con un solo voto dei creditori e la cui finalità è quella di facilitare la ristrutturazione dei debiti pubblici.
Nel dare un giudizio di insieme sulla riforma, si deve anche tener conto che è stato introdotto il backstop per il Fondo di risoluzione delle banche – un fatto in sé positivo, anche se con limiti rilevanti. E d’altra parte, i vertici politici dei paesi europei, anche in Germania e in Olanda, non hanno mai davvero sposato l’idea della ristrutturazione automatica e sarebbero probabilmente molto preoccupati da una crisi del debito italiano, per le gravi conseguenze che avrebbe in Europa e nel mondo. Hanno approvato quindi questa riforma perché ritengono che le regole europee non siano riuscite a disciplinare paesi come l’Italia e dunque occorra fare maggiore affidamento su meccanismi di mercato. Ciò comporta che i paesi vengano salvati – questa è la funzione del Mes – ma che una parte del costo del salvataggio debba essere a carico dei creditori. La finalità dunque non è quella di indurre l’Italia a ristrutturare, ma al contrario quella di indurla ad assumere le iniziative che sono necessarie per evitare di perdere l’accesso al mercato e dunque essere costretta a rivolgersi all’assistenza della comunità internazionale. Il rischio è che i meccanismi di mercato funzionino male e, attraverso aspettative che si autorealizzano, finiscano per trasformare temporanee crisi di liquidità in insolvenza. Ciò a maggior ragione dato che sono stati resi più restrittivi i criteri per accedere ai prestiti precauzionali, proprio quelli che avrebbero potuto svolgere la funzione di evitare questo genere di crisi.
Questo articolo riflette il testo di un’audizione dell’autore presso le Commissioni V e VIX della Camera il 6 novembre disponibile qui.