L’evoluzione epidemiologica e demografica ha come orizzonte un avanzamento consistente della popolazione anziana e un forte aumento dell’età media e situazioni emergenziali che sempre più spesso rischiano – come la pandemia da Covid 19 – di mettere a dura prova la tenuta dei sistemi sanitari.
In Italia, secondo i dati ISTAT, gli anziani dai 65 anni in avanti, agli inizi del 2022 erano circa 3 milioni in più rispetto al 2002 (pari al 23,8% della popolazione totale), mentre si stima che tra venti anni, nel 2042 saranno quasi 19 milioni (pari al 34% della popolazione).
Non confortano neanche i dati riguardanti gli anziani non autosufficienti che nel 2019 erano 3 milioni e 150 mila, pari a circa il 5% della popolazione.
Questo quadro demografico conferma chiaramente la necessità per gli anziani, i fragili e i non autosufficienti di disporre di servizi sociosanitari e di ambienti urbani adatti alle loro particolari necessità.
Il dato relativo all’invecchiamento della popolazione è confermato anche a livello europeo dall’analisi Eurostat che ha preso in considerazione un periodo che si spinge oltre il 2050.
Eurostat nelle sue proiezioni demografiche per l’Europa, mostra per l’Italia una forte tendenza all’invecchiamento e alla riduzione degli abitanti, sicuramente con maggiori bisogni sanitari, visto che i dati indicano anche una maggiore dipendenza degli over 65 rispetto alla fascia di età 15-64 anni: saranno il 26,7% in più nel 2100 a essere “dipendenti” rispetto al 2022.
E l’analisi si spinge anche nel dettaglio delle province italiane, descrivendo per alcune città della nostra Regione una situazione tanto nuova quanto inevitabile.
Alcuni esempi: nei prossimi 10-15 anni la popolazione di Napoli dovrebbe calare del -25% e per quanto riguarda la speranza di vita alla nascita nelle province, soprattutto per la popolazione maschile, rispetto a un aumento medio nazionale del +10,3% che porterà la vita media alla nascita a circa 89,9 anni, aumenterà di più nella nostra Regione a Caserta (+12,4%) e Napoli (+12,1%).
Infine, l’età media. Secondo Eurostat la proiezione nei prossimi anni è di un aumento medio nazionale del +9,7%, ma il picco massimo è proprio in Campania, a Caserta (+20,5%) e Napoli (+19,5%).
Un quadro che rende ancora più evidente la necessità di sviluppo di un’assistenza alla popolazione più anziana, fragile, non autosufficiente e, visto l’indice di dipendenza in aumento, anche dell’assistenza domiciliare.
Il PNRR ha sviluppato questi concetti, anche grazie alla lezione dalla pandemia e ha previsto una serie di innovazioni proprio per questo tipo di assistenza e per dare reale sviluppo al territorio, per tutelare e promuovere la salute delle comunità e dei singoli, specialmente di quelli più fragili.
Questo in tutte le Regioni e per tutte le fasce di popolazione, con modalità e qualità omogenee, con l’obiettivo di salvaguardare l’equità, la solidarietà e l’universalismo del Ssn e dei Ssr.
Per farlo è stato previsto con il DM 77/2022 un riordino dell’assistenza territoriale che ha come punti forza Ospedali di Comunità, Centrali Operative territoriali, Case di Comunità Unità di continuità assistenziale, in cui gli infermieri svolgono un ruolo prioritario secondo precise responsabilità e, dal punto di vista degli organici, standard ben definiti.
Ovviamente non sono soli.
La collaborazione multiprofessionale è scritta a chiare lettere nel nuovo modello di sanità previsto dal PNRR e le Case della Comunità, gli Ospedali di Comunità e le Centrali Operative previste, dovranno auspicabilmente operare in rete con gli altri servizi territoriali esistenti, a partire dalle farmacie che rappresentano il canale più capillare per la prossimità con i cittadini.
L’obiettivo è la massima qualificazione delle nostre professioni, indispensabili nella gestione dell’emergenza e della quotidianità, in ospedale e sul territorio e trovare una soluzione unica a livello nazionale per offrire la migliore tutela della salute a tutti i cittadini.
Nella nostra Regione – come sta avvenendo nel resto del Paese – è essenziale aprire un dibattito costruttivo sul modello migliore di assistenza secondo nuovi concetti di salute e malattia che, per quanto riguarda gli infermieri che rappresento, sono propri della nostra professione, soprattutto nel momento in cui affermiamo che il paziente non è scomponibile, ma va trattato nella sua unicità di persona e secondo il complesso dei suoi bisogni, non solo seguendo un sintomo o un disagio, tralasciando tutti gli altri, ma seguendo un filo conduttore che lo porti verso le migliori condizioni ottenibili sia dal punto di vista clinico che organizzativo e sociale.
La nostra Regione ha sottoscritto nel 2022 i Contratti Istituzionali di Sviluppo (CIS) con il Ministero della Salute e da questi emerge che, ad esempio, le Case della Comunità in Campania devono essere 172, tre in più rispetto a quelle previste dai finanziamenti del PNRR e di queste 125 sono da ristrutturare e 47 da edificare. Ancora sono programmati 48 Ospedali di Comunità, cinque in più della previsione iniziale e di questi 18 sono da edificare e 30 da ristrutturare.
Per le Centrali operative territoriali la Campania secondo i CIS ne ha 65, sette in più delle previsioni originarie (incremento condiviso con sole altre tre Regioni) e di queste 51 utilizzano spazi disponibili esistenti e funzionali che non necessitano di interventi.
Questa la cornice, ma nel quadro mancano elementi essenziali come gli organici che devono operare/gestire queste strutture.
Il DM 77 indica chiaramente tra i principali attori della riforma del territorio gli infermieri di famiglia e comunità, che pone in tutte queste strutture come professione preponderante.
In Campania, secondo gli standard fissati nel decreto, ce ne vogliono almeno 1.864, ma la nostra Regione sconta una carenza ormai storica e cronicizzata – senza entrare nel merito di situazioni organizzative limite che in questi ultimi mesi hanno caratterizzato le cronache campane – di quasi 9.000 infermieri di cui sicuramente quelli di famiglia e comunità sono parte.
Eppure l’introduzione dell’infermiere di famiglia e comunità, nelle Regioni che l’hanno già previsto e attivato, ha portato non solo al netto miglioramento dell’assistenza che, di fatto, ha sviluppato una domiciliarità prima assente. Ha ridotto in un triennio del 20% i codici bianchi ai pronto soccorso degli ospedali guadagnando appropriatezza; per la capacità di intervento sul territorio ha ridotto anche il tasso di ospedalizzazione di circa 10 punti; ha migliorato la presa in carico dei pazienti dimessi dall’ospedale consentendo a loro e ai familiari di gestire a domicilio la propria condizione di salute divenendo competenti nella gestione della propria condizione di vita; ha sgravato i medici di medicina generale da accessi impropri in ambulatorio, liberando tempo che il medico di base può dedicare alla funzione clinica e di filtro nella diagnosi e nella terapia della malattia; ha generato un aumento dell’efficienza registrata dall’incremento degli accessi domiciliari medi per infermiere, con una riduzione dei tempi di percorrenza, l’uso appropriato dell’ambulatorio e il recupero del tempo assistenziale da dedicare ad attività ad alta integrazione socio-sanitaria (ad esempio lavoro di rete, presa in carico “leggera ed anticipata,” presa in carico in ambito ospedaliero e garanzia della continuità delle cure a livello territoriale).
Cosa potrebbe significare questo per nostra Regione?
Ad esempio un taglio netto ai ricoveri a rischio di inappropriatezza e agli accesi impropri ai pronto soccorso: quelli che generano ticket (codici bianchi) sono circa 8.000 e grazie allo sviluppo dell’assistenza territoriale almeno il 25% potrebbe subito essere evitato, con risparmi nell’ordine di 2-300 milioni.
Cosa fare?
Le necessità sono evidenti e l’appello è chiaro: realizzare ed attivare subito le strutture previste e finanziate dal PNRR, ma renderle operative prevedendo la giusta – secondo gli standard di legge – dotazione di organici e, quindi, attivando subito, per quanto attiene la nostra professione, l’infermiere di famiglia e comunità, figura essenziale nella territorlaità e per la prossimità e domiciliarità.
I punti cardine su cui agire e quindi le proposte/richieste della nostra comunità professionale per dare eccellenza alla Regione sono sintetizzabili:
Attivare le condizioni normative, organizzative e finanziarie, per raggiungere da qui al 2026, in tutta la Regione, l’operatività dei Distretti Sociali e Sanitari, delle Case e degli Ospedali di Comunità, delle Centrali operative territoriali in linea con quanto previsto dal DM77/2022.
Investire sul personale, sulle tecnologie e sulla riorganizzazione dei principali comparti del SSN pubblico e attivare le équipe multiprofessionali e multisettoriali, anche qualificando il personale in relazione agli specifici bisogni locali e al nuovo indirizzo richiesto per lo sviluppo delle strutture previste dal PNRR.
Per questo e per la professione infermieristica in particolare – ma non solo – adeguare gli accessi ai diversi percorsi di laurea, specializzazione e qualificazione per le professioni, prevedendo in particolare per la professione infermieristica lo sviluppo di percorsi specialistici mirati alle nuove esigenze programmatorie..
Investire in telemedicina e teleassistenza nella prospettiva di un miglioramento della risposta, della semplificazione dei percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali e dello sviluppo del coinvolgimento diretto dei cittadini.
Investire nel sostegno alla domiciliarità per rendere concreto l’obiettivo “casa primo luogo di cura”.
Limitare il ricorso alle esternalizzazioni, lasciandole in caso per le attività non sanitarie.
Ridefinire il rapporto pubblico-privato: centrale è la governance pubblica, con un apporto integrativo del privato accreditato sulla base di analisi sviluppate in funzione dei bisogni della popolazione.
Cosimo Cicia
Presidente Opi Salerno e Vicepresidente della FEDERAZIONE Nazionale Ordini delle Professioni Infermieristiche