Il Medioevo.
Spesso e volentieri viene definito col tristo epiteto di età buia, ricordandolo principalmente come teatro di eventi in cui prosperavano il fanatismo religioso e la superstizione, senza contare i numerosi barbarici massacri. Eppure, vorrei rammentarvi che fu proprio durante quest’epoca che l’umanità creò invenzioni che successivamente abbiamo affinato e utilizzato tuttora. Un esempio è l’orologio meccanico, oppure le finestre di vetro, o – per citarvene un altro – gli occhiali. Oggi però non siamo qui per enarrare tutte le grandi scoperte fatte e, per quanto io ami perdermi nelle piccole curiosità di quel tempo, vorrei prendervi per mano e condurvi a fare la conoscenza di una delle più famose (se non la più importante) personalità sarda di allora. Parliamo di Eleonora d’Arborea. Forse molti di voi l’avranno sentita nominare ma, per chi non l’avesse mai sentita, accomodatevi pure: chi cerca il sapere sarà ben presto soddisfatto. Nonostante le più grandi figure autoritarie fossero in maggioranza uomini, le poche donne passate alla storia sono da considerarsi eccezionali e simbolo di emancipazione femminile, soprattutto in un’epoca come quella sopracitata. Ma per comprendere le sue gesta e ammirarle come ben si dovrebbe, dobbiamo enarrare dei fatti antecedenti la nascita di Eleonora. Tutto iniziò nel 1282, quando in Sicilia scoppiò la Guerra del Vespro per il possesso dell’isola tra aragonesi e angioini. Nel tentativo di porre fine al conflitto, Papa Bonifacio VIII infeudòil Regno di Sardegna e Corsica agli aragonesi e – per un periodo – il Giudicato d’Arborea restò fuori dal controllo degli Aragona. Ma questo non voleva dire essere al sicuro. Nel giugno del 1323 una possente armata aragonese salpò alla volta della Sardegna, decisa a conquistarla e a sottrare i territori ai pisani. Vorrei ricordare però che al tempo l’isola non era solamente della repubblica di Pisa, ma era spartita anche tra la repubblica di Genova, tra le potenti famiglie Doria e Malaspina (entrambe vassalli del re di Aragona) e tra l’unica entità giudicale rimanente: Il Giudicato di Arborea. L’allora Giudice di Arborea Ugone II, in cambio del mantenimento dei privilegi dinastici e la mal riposta speranza di poter riuscire ad espandere il suo controllo su tutta la Sardegna, si fece vassallo del re aragonese e dichiarò guerra contro Pisa, cui nonostante tutto si videro sconfitti continuamente sia per terra che in mare. Il prezzo da pagare in seguito alla disfatta, fu alto: i territori in cui erano situati gli ex Giudicati di Cagliari e Gallura vennero inglobati nel Regno di Sardegna, divenendo così il primo centro territoriale che successivamente – nel 1343 – dopo la morte di Giovanni Malaspina di Villafranca, in quanto privo di eredi, si allargò ulteriormente poiché i possedimenti sardi dei Malaspina, passarono per testamento a Pietro IV d’Aragona. Eleonora (o Elianora) nacque a Molins de Rei, nel regno d’Aragona nel 1347 circa dall’unione dell’oristanese Mariano IV de Serra Bass e dalla nobildonna catalana Timbora de Roccaberti. Visse i primi anni nel castello del Goceano ad Oristano assieme al fratello e alla sorella maggiori Ugone III e Beatrice ed in pochi sanno che prima di lei, vi era un’altra sorella, morta però da infante per cause premature. Quando fu ancora conte di Marmilla e del Goceano, alla morte del fratello Pietro III, suo padre Mariano fu proclamato Giudice di Arborea dalla Corona de Logu: un organo politico che non solo si occupava di nominare il Giudice ma anche di controllare il suo operato. Tale istituzione era composta da due rappresentanti del capoluogo, i castellani e nientemeno che dai più autorevoli membri della gerarchia ecclesiastica. Ad ogni modo costui, nel suo iniziale periodo da regnante, viene dipinto dalla classe politica del tempo come fortemente disinteressato agli avvenimenti politici dell’isola. In quello stesso anno però, i Doria tessevano i fili di un’altra ribellione, l’ennesima ai danni degli aragonesi perché come ben sappiamo oggi come allora, le alleanze politiche potevano durare un battito di ciglia e – nell’arco di una mattinata – ci si trovava a combattere contro chi, magari, la sera prima ci aveva offerto la cena. Bastava un minimo malcontento, e indovinate: fu quello che accadde. Antonio, Giovanni, Matteo e Nicolò Doria fecero richiesta a Pietro IV d’Aragona per acquisire privilegi di entità commerciale per Alghero, Castelgenovese (al giorno d’oggi Castelsardo) e poter rientrare in possesso di due castelli, precedentemente sequestrati causa ribellione, quelli di Ardara e Bonuighinu. Però loro cosa s’impegnavano ad offrire al re aragonese? Lealtà, ma soprattutto un modo per far ottenere nuovamente al sovrano i castelli di Capula e Osilo che dichiaravano occupato dai ribelliquando in realtà, era stato assediato da loro stessi. Re Pietro IV d’Aragona accettò tutte le condizioni tranne che la concessione dei privilegi per Alghero e Castelgenovese poiché aspirava ad averle entrambe per sé, ma i Doria non accettando il mancato accordo di tutte le richieste poste iniziarono ad inviare mercenari e soldati fuori le mura di Sassari. Certamente non una bella situazione ma credetemi: potrebbe andare peggio… e di fatti, andrà peggio. Il re a quel punto decise di mandare una compagnia di uomini armati sotto il comando di Ughetto de Cervellon mentre invece, da Cagliari partì un altro Cervellon di nome Gherardo che – accompagnato da trecento balestrieri – si dirigeva a Sassari. Dovendo attraversare per forza il Giudicato d’Arborea, Gherardo, affiancato da suo padre il governatore generale Guglielmo, incontrarono il Giudice Mariano IV che – informato della situazione –affiancò loro un manipolo di militi e consigliò di evitare lo scontro diretto e soprattutto l’inizio di una guerra ma Gherardo anziché ascoltare Mariano, una volta giunto nel passo di Aidu de Trudu (in sardo, Passo del Tordo) ingaggiò battaglia ordinando la carica, causando così il massacro dei propri uomini per poi venir ucciso esso stesso. Il Giudice d’Arborea mandò allora un altro gruppo di militi che dopo aver soccorso i sopravvissuti – tra cui Guglielmo – giunse a Sassari e pose fine all’assedio dei Doria. Dopo ciò nel 1349 vi fu una tregua in cui, secondo le supposizioni degli storici, il re cercò di ledere l’unità dei membri del casato concedendo feudi ad alcuni anziché ad altri, con la promessa della cessione della città di Alghero. Naturalmente, non tutti i Doria furono favorevoli nel consentire al sovrano tale promessa e chiesero, nel 1351, l’aiuto di Genova contro un possibile attacco aragonese che come ovvio che fosse, avvenne. Infatti Pietro IV mandò una grande flotta composta da cinque grandi navi da carico, quarantacinque galere e come se non bastasse, nei pressi di Cagliari si unirono alla già enorme spedizione, altre venti galere veneziane. Il tutto per assediare Alghero. Fu così che, il 27 agosto 1353, avvenne la sanguinosa battaglia di Porto Conte che vide i catalano-veneziani scontrarsi col ramo sardo dei Doria. Terminò con la vincita dell’ammiraglio Bernat de Cabrera, che non solo costrinse gli algheresi ad arrendersi ma il giorno dopo l’assedio, diede l’ordine di giustiziare senza nessun processo uno dei più feroci difensori della città ovvero, Fabiano Rosso Doria. E qui, dopo questo avvenimento, accadde ciò che i tre re aragonesi Giacomo II, Alfonso IV e Pietro IV cercarono di scongiurare nel tempo, conferendo riconoscimenti, titoli nobiliari e matrimoni di comodo: Mariano IV decide dopo l’invasione di Alghero di rompere l’alleanza con gli aragonesi per stipularne una coi Doria e dichiarare guerra al Regno di Sardegna, dando così inizio al lungo conflitto conosciuto col nome “guerra sardo-catalana” che durò ben settant’anni. Ma nel mentre Eleonora che fece? Ebbene si sposò prima del 1376 con l’allora quarantenne Brancaleone Doria (già padre di due figli illegittimi) per consolidare maggiormente l’alleanza antiaragonese e andò a vivere a Castelgenovese dove si dica siano nati anche i loro due figli, Federico e Mariano, per poi spostarsi a Genova. Ma il destino aveva in serbo per lei ancora tanti piani: nel 1376 perse il padre a causa della peste e nel 1383 il fratello Ugone III – che proseguì i propositi indipendentisti dichiarandosi “Signore de Sardinia” – venne ucciso assieme a sua figlia Benedetta in una congiura nobiliare, giovando come ben potete immaginare, ai nemici del Giudicato stesso. Del resto gli unici pretendenti al trono rimasti erano i nipoti di Ugone III ma il figlio di Beatrice – deceduta nel 1377 – era lontano e questo faceva di Federico il candidato più indicato, così Eleonora si adoperò per far sì che la Corona de Logu eleggesse suo figlio. Scrisse nientemeno che due lettere, una al re aragonese, in cui spiegava la situazione di disordine che regnava nell’isola e una alla regina, poiché intercedesse con suo marito a favore del figlio, mandando il marito Brancaleone a trattare di persona. Il disegno di Eleonora era alquanto semplice: rimettere nelle mani del figlio ciò che Ugone era riuscito a conquistare prima di esser ucciso ma il re non acconsentì, sia per una questione di potere (il Giudicato di Arborea si sarebbe rafforzato incredibilmente) che per una questione di interessi personali (con la scusa che Ugone non avesse eredi diretti maschi, i possedimenti da lui ottenuti sarebbero stati rilevati dal fisco e dunque, divenuti di sua proprietà). E a quel punto il sovrano osò fare molto di più, trattenendo Brancaleone con la poco credibile scusa di farlo sbarcare in attesa di un allestimento di una flotta e dopo cercò di rabbonirloattribuendogli il titolo di conte di Monteleone, resistendo a questo tentativo di corruzione venne incarcerato e condotto a Cagliari, divenendo così uno strumento di ricatto verso Eleonora che – nonostante tutto – non cedette e dichiarò una politica di guerra. Una volta tornata ad Oristano, punì i cospiratori e si autoproclamò Giudicessa di Arborea e poteva assolutamente farlo poiché – secondo i decreti lasciati da suo nonno Ugone II – in mancanza di eredi maschi le donne potevano succedere al trono. Ed è qui che grazie alla sua grande intelligenza, Eleonora riuscì ad assumere il controllo di quasi tutta la Sardegna. Al contrario del fratello Ugone III che nel suo breve periodo da regnante comandò con fare autoritario richiedendo oppressive contribuzioni per poter mantenere vari mercenari, sua sorella stipulò varie alleanze con le città maggiori dell’isola garantendo loro privilegi, difesa e rispetto mentre a quelle più piccole (ch’erano principalmente comunità contadine) esenzione dalla maggior parte delle tasse, rendendo così i cittadini parte attiva politica dell’isola e non schiavi del potere di stampo feudale ma non solo. Eleonora modificò e promulgò ciò che al tempo era il più importante documento sardo che – ai giorni nostri – continua ad avere un valore storico non indifferente, ovvero, la Carta de Logu. Ma cosa è nello specifico? Innanzitutto a crearla fu suo padre Mariano IV poi venne rivisitata da Ugone e infine da lei, scritta totalmente in sardo volgare per facilitare a tutti la comprensione, conteneva ordinamenti di tipo giuridico, norme di codice penale e civico e soprattutto alcune norme che lasciano presagire la creazione di un codice rurale. E pensate, la Carta de Logu rimase in vigore fino all’aprile del 1827 quando venne rimpiazzata dal Codice di Carlo Felice. Ma torniamo ad Eleonora il cui scopo era – nonostante le continue battaglie alternate a brevi periodi di tregua – arrivare alla piena autonomia del Giudicato d’Arborea. Ci riuscì? Per un poco di tempo, sì. Nel 1387 morì suo figlio Federico e gli succedette il fratello più giovane, Mariano V, sempre sotto la reggenza della madre poi dopo lunghe trattative, nel mese di gennaio del 1388 fu siglata la pace tra catalano-aragonesi ed Arborea in cui – secondo gli accordi – venivano restituiti alla Corona Aragonese ville, luoghi e città precedentemente occupate dai Giudici di Arborea. Nonostante questa pace, Brancaleone venne liberato dopo due anni, nel gennaio del 1390 e solamente nell’aprile dell’anno dopo, riprese la guerra contro gli aragonesi marciando verso Castel di Cagliari e proseguì così fino al 1392 in cui in una lettera annunciava d’esser rientrato in possesso di tutti i vecchi terreni di cui era proprietario nel 1388, ma la fortuna può essere una sfuggente alleata. Nel 1403 infatti, la peste investì la Sardegna uccidendo gran parte della popolazione e ahimè, la povera Eleonora: il suo vuoto consentì agli aragonesi di riprendersi in dieci anni tutte le terre che gli furono sottratte. Per quanto riguarda Brancaleone, dopo la morte della moglie decise di proseguire da solo e cominciando ad atteggiarsi a Giudice, i rapporti col figlio Mariano V si inacidirono fino a che quest’ultimo morì nel 1407, anch’esso a causa della peste, lasciando una crisi di successione che si risolse a favore del nipote della zia, Guglielmo III di Narbona. Brancaleone invece morì a Castelgenovese due anni più tardi, ucciso dai catalano-aragonesi nel gennaio del 1409 prima della battaglia di Sanluri. E questa cari lettori, è la parte più significativa e conosciuta della storia del popolo sardo e di un’indipendenza a lungo sognata e mai ottenuta, dove una grande donna viene ancora oggi ricordata per il suo coraggio, la grande determinazione e le capacità legislative fuori dal comune.