A.D. 1189. La particola IV introduce i venti di guerra dopo la morte di Guglielmo II: <<Post lacrimas, exequias, post triste sepulchum, scismatis exoritur semen in urbe ducum>> (vv.84-85 (“Dopo le lacrime, le esequie, la triste sepoltura, esplode nella città il germe della discordia dei duchi”). Non sono ancora terminati i giorni di lutto, infatti, ecco che Baroni ed Ecclesiastici danno inizio alla lotta intestina e fratricida per la successione dinastica normanno-sveva del Regno di Sicilia, come ben si esprime il poeta: <<(Panormus) in sua versa manus precordia sanguuinis hausit urbs tantum, quantum nemo referre potest>> (vv.86-87) “(Palermo) rivolta la mano contro il suo stesso cuore, tanto sangue versò la città, quanto nessuno mai potrebbe riferire”). È come se Palermo avesse rivolto la mano armata contro se stessa. Nella lotta fratricida si creano tre fazioni, con una quarta ma più slacciata dalla altre tre, in lotta fra loro per la successione al trono. I potenti del regno così erano schierati:
Da una parte, come ho detto sopra, vi erano i notabili siciliani capeggiati dal partito di Riccardo
D’Aiello e di suo fratello Niccolò, Arcivescovo di Salerno (1182-1221), figli del vice-cancelliere Matteo. I quali per dare continuità di successione al ramo degli Altavilla parteggiavano per Tancredi, figlio illegittimo di Ruggero di Puglia, primogenito di Ruggero II.
Dall’altra parte, <<Molti baroni per opera dell’Arcivescovo Gualtiero gli negavano ubbidienza,
e particolarmente quelli del nostro regno di Puglia>>, come si esprime Pietro Giannone, che parteggiavano per l’imperatrice Costanza d’Altavilla, zia di Tancredi essendo anche codesta figlia di Ruggero II.
Fra gli aspiranti al regno vi era anche il Conte Ruggero d’Andria: <<Non erat in voto mens
pharisea pari. Tancredum petit hic, comitem petit ille Rogerum: quod petit hic, negat hic; quod negat hic, petit hic>> (vv.95-97) (“Di parere diverso da tutti era la mente spergiura di Matteo. Questi sostiene Tancredi, quelli il conte Ruggero. Ciò che l’uno vuole, l’altro rifiuta; ciò che l’uno rifiuta, l’altro pretende”). Quella di Ruggero d’Andria, nipote di Dragone, fratello del Guiscardo, era la terza fazione, appoggiata dal “partito dei baroni”; un Altavilla non di sangue reale. Sembra che sia stato quest’ultimo a scrivere ad Enrico VI incitandolo a scendere in Puglia a difendere il regno che sarebbe spettato alla moglie Costanza.
Una quarta fazione era rappresentata dagli stessi <<BARONI del regno … che possedevano
grossi baronaggi (feudi, n.d.a.), non volendo l’uno all’altro cedere, aspiravano alla corona; e que’ ch’eran in minore stato, aderendo a’ più potenti, posero il tutto in rivolta e contrasto, dimenticandosi tosto del giuramento di fedeltà fatto a Costanza e a Enrico VI in Troia>>; anzi, <<I principali baroni tutti aspiravano per se stessi al regno>>, forti di un proprio esercito di masnadieri, come afferma ancora il Giannone. Tutti gli atti insubordinati, in questo periodo appartengono ai baroni; infatti, non c’era fazione che non si appoggiasse a un grosso feudo.
Comunque, Matteo D’Aiello <<Pollicitis humiles, prece magnos, munere faustos vincit, et antistes simplicitate ruit>> (vv.108-109) (“Con le promesse convince gli umili, con le preghiere i grandi, con doni i ricchi, e l’arcivescovo per la sua ingenuità viene battuto”). Matteo fa opera di persuasione con promesse e lusinghe soprattutto presso l’Arcivescovo di Palermo, Gualtiero, per il suo forte ascendente sulla città, fino a riuscirci. Pietro lo definisce <<Mens pharisea>> essendo ritenuto uno spergiuro; infatti, anche il Vicecancelliere, secondo il poeta, contravvenne al giuramento di Troia (1188) e ignorò il diritto di successione di Costanza. In realtà, il vicecancelliere da subito sposò la causa di Tancredi, e non avrebbe fatto alcun giuramento a favore di Costanza, a meno che non fosse stato costretto (n.d.a.).
Cultura
DECIMO APPUNTAMENTO CON LA RASSEGNA LETTERARIA SUL “DE REBUS SICULIS CARMEN AD HONOREM AUGUSTI”
- 26 Gennaio 2020