Dopo aver descritto minuziosamente lo “scarno corteo” che ha introdotto la cerimonia dell’l’incoronazione di Tancredi a Re di Sicilia, con il solo popolino a suo seguito, e le “sgraziate fattezze” del suo corpo per evidenziare l’inadeguatezza a regnare, il poeta con codesta particola contrappone la magnificenza dell’incoronazione imperiale di Enrico VI. Come un reporter “ante litteram” l’Ebolitano ha saputo “fotografare”, specie con le miniature, le due cerimonie in contrapposizione; come se si confrontassero allo specchio.
È la Pasqua del 1191. Enrico VI fa il suo ingresso in Roma con un grande seguito in pompa magna per l’incoronazione imperiale; tutti i romani l’accolgono con grande giubilo, come un messia atteso da tempo. Lo Svevo è accolto con <<Balsama, thus, aloe, miristica, cinnama, nardus, regibus assuetus ambra modestus odor, per vicos, per tecta flagrandredolentque per urbem, thuris aromatici spirat ubique rogus>> (vv.264-268); (“Balasmi, incenso, aloe, mirra, cannella, nardo ed ambra dal profumo soave, familiare ai re, si propagano per villaggi e case e diffondono odori per la città, ovunque spira il fumo dell’aromatico incenso”). Un ingresso trionfale nella “Città Eterna”, degno di un generale di Roma Imperiale dopo una conquista. La basilica di San Pietro è ornata di tutto punto negli addobbi per riceverlo degnamente. L’incoronazione è descritta nei minimi particolari con qualche adattamento teologico-biblico. Ecco la sequenza: Enrico VI si ferma ai piedi dell’altare: <<Altaris sistitur ante gradus>> (v.275); (“Circonfuso di gloria, egli si ferma innanzi ai gradini dell’altare”); Il papa <<Dapprima… ambo le mani, col santo crisma, gli consacra>> (v.276) affinché come vincitore difenda l’Antico e Nuovo Testamento; Gli consacra <<Le braccia, la schiena e il petto dicendo: ‘Dio ti unge nel nome di Cristo Signore’>> (vv.278-279).; <<Prese e gli consegnò la spada simbolo del potere, che Pietro rimosse dall’orecchio troncato per comando divino. La spada simbolo del potere e gliel’affida a difesa della Chiesa e del mondo, della Casa di Dio e della terra>> (vv.280-283); Gli consegna, poi, lo scettro a difesa del diritto della potestà, della religione e della giustizia (vv.284-285); A seguire, gli consegna l’anello della Chiesa, nobile pegno di fedeltà dei regni (vv.286-287); E a conclusione, il Papa gli consegna <<Quam geris aurate, Cesasr, diadema thiare, Signat te apostolicas partecipare vices>> (vv.288-289) (“Il diadema dell’aurea tiara che tu porti, o Cesare, significa che tu partecipi dei destini della Chiesa”). Queste ultime parole della cerimonia, le quali risalgono all’incoronazione di Carlo Magno nella notte di Natale dell’anno 800, designano il “Sacro Romano Impero” come il “Braccio secolare della Chiesa”.
Dopo la “traditio” dei simboli del potere, è interessante notare come il poeta crei un adattamento teologico-biblico della cerimonia quando paragona la spada imperiale a quella dell’apostolo Pietro che staccò l’orecchio di un servo nel Getsemani durante l’arresto di Gesù (v.281) . In effetti, il poeta ha unito il sacro, che corrisponde alla risposta di Gesù: <<Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno>>, col profano, col significato opposto al comando del Cristo. Il Salvatore impone a Pietro di deporre la spada fino al punto di riparare il danno che la spada brandita dall’apostolo aveva fatto (orecchio tagliato). Al contrario, il poeta esalta la spada, secondo protocollo dell’incoronazione, che avrebbe dovuto difendere la Chiesa, la quale non ha bisogno del sostegno in armi, come aveva mostrato Gesù stesso con l’apostolo. La Chiesa, nei secoli, non avrebbe dovuto mai far uso della spada per conto proprio, a propria difesa; è come se Dio non fosse in grado di difenderla dopo averla fondata, o che lo Spirito Santo non la guidi per niente; ma le vie del Signore sono imperscrutabili come la storia dimostra; pertanto, mi esimo dal giudicare la Storia della Chiesa di questo particolare “periodo”. Intanto Enrico VI ha fatto ufficialmente il suo ingresso in Italia, prima tappa all’invasione del regno di Sicilia.