Pietro, ora, sposta l’attenzione del lettore sul <<Casus anathematizati et derisio nascentis>>; ovvero, “La disgrazia del maledetto (Tancredi) e il dileggio della sua nascita”.
Se nella particola VII il poeta definisce Tancredi: “Nano”, “vecchio mostro”, “empio aborto”, “scimmia”, “schifo d’uomo”, “mezzo uomo”, con la particola VIII il poeta mira a giustificare i suoi appellativi e li “colora” con le miniature. La descrizione fisica della figura di Tancredi trova conferma all’atto dell’incoronazione; infatti, il novello Re non ha un seguito regale alla sua ascesa al trono perché nessun notabile del regno, secondo l’ebolitano, ha potuto accettarlo come Re in base alla descrizione che è stata fatta del suo corpo, il quale è l’effetto dei suoi natali.
Il Re ancora una volta è definito un “non uomo”: <<Uncxit abortivum que manus ausa virum? Embrion infelix et detestabile monstrum…corpore te geminas, brevis athome, semper in uno, nam puer a tergo vivis, ab ore senex>> (vv.207-208, 210-211); (“Qual temeraria mano incoronò un uomo deforme. O miserabile embrione o detestabile essere informe… nel medesimo corpo, o atomo insignificante, sempre ti sdoppi: di dietro, infatti, vivi da fanciullo, dinanzi da vecchio”).
Pietro, meditando sull’aspetto fisico deforme e non riuscendo a capacitarsi come possa nascere un essere incompiuto dal seno di una donna, chiede lume a un illustre medico della “Scuola Medica Salernitana” del tempo: Ursone, il quale lo delucida con queste parole:
<<Ut puer incipiant,opus est ut uterque resudet,exquo perfectus nascitur orbe puer. Non in Tancredo sementat uterque parentum,et, si sementent, non bene conveniunt. Dux alter de stirpe ducum, de stegmate regum, altera de media stirpe creata fuit… Hunc habuisse patrem credamus nomine, non re: rem trahit a matre dimidiatus homo>>; (“Affinché una creatura si formi, occorre che entrambi i genitori, diano il seme da cui possa nascere un bambino perfetto. In Tancredi non hanno dato il seme entrambi i genitori, e seppur l’hanno fecondato, è mancata l’unione perfetta. L’uno, duca da stirpe di duchi di origine regia, l’altra da famiglia di mediocre lignaggio fu concepita… Pensiamo che di nome ebbe costui un padre, non di fatto: dalla madre soltanto deriva, il mezzo uomo, la sua natura”) (vv. 216-229).
Da ciò emerge che il poeta combatta l’usurpatore Tancredi non con idee personali, come se fosse un disprezzo tout court della persona, ma con quelle di pensiero corrente del suo tempo. Infatti, Ettore Rota, autore del <<Liber ad honorem Augusti>>, osserva che <<Il poeta non esprime idee proprie, ma combatte con armi del suo tempo. Ugo Falcando bollava d’insania quelli che, appartenendo alle classi inferiori della società, avevano presunzioni di gloria, sembrando all’aristocratico scrittore che il loro grado sociale fosse un’esplicita dichiarazione della loro incapacità a conseguire onori… questa spiegazione è notevole e importante perché mostra “quanto fossero radicati i pregiudizi aristocratici sulla nobiltà del sangue”… la cui fucina non è improbabile che la Scuola Salernitana che dai prìncipi attendeva privilegi>>.
Pertanto, più che delegittimare arbitrariamente Tancredi, Pietro si attiene alle idee del tempo circa i matrimoni tra nobili e plebei dai quali nascerebbero creature ibride, come il novello Re di Sicilia.
In realtà, il problema di Tancredi non era il lignaggio da cui proveniva sua madre Emma, a sua volta figlia di Conti, ma il fatto che sua madre fosse stata solo l’amante del padre, Ruggero III di Puglia senza averla mai sposata; e comunque, si dice che Re Ruggero II prima di morire l’avesse riconosciuto e accettato come nipote. Codesta notizia, comunque, a Pietro non interessa; preso com’è dal delegittimare Tancredi, ultimo re riconosciuto degli Altavilla.