di Vittorio Campagna
Lasciamo i due parenti normanni a Messina nelle loro preoccupazioni dinastiche ed ereditarie, per trasferirci a Capua dove già si era portato Riccardo d’Acerra per liberare la citta dagli imperiali guidati dal marchese Corrado; il quale come dal Titolo della Particola XXVII: <<Corradus obsessus suos alloquitur>> (“Corrado assediato parla ai soldati”), non può che richiedere buone condizioni di resa.
L’introduzione della particola è un inno alla “Campania Felix”; è la Campania cantata da poeti di ogni tempo; ritenuta dagli antichi la più fertile di ogni altra terra e il poeta non si sottrae a descriverla e a illustrarla come lussureggiante e ricca.I fiumi che irrigano i campi permettono un raccolto tre volte l’anno; i grappoli d’uva hanno una resa di vino fino, iperbolicamente, a disgustare gli stessi agricoltori (vv.773-780).
L’opulenza della città di Capua, pertanto, era una base fondamentale per un esercito ivi accampato, come dimostrò lo stesso Annibale. Mentre il marchese Corrado, luogotenente di Enrico VI, che era rimasto nel Regno di Sicilia, stanziava in Capua sin dalla partenza dell’imperatore, ritenuta città amica; quando sopraggiunge il conte Riccardo e assedia la città.
Nello stesso tempo anche i capuani si rivoltano contro l’esercito teutonico; così, i soldati imperiali si trovano accerchiati dall’esterno da Riccardo e avendo gli stessi capuani come nemici all’interno della città.
A questo punto, a Corrado non resta che esortare i suoi soldati a non smarrirsi in terra straniera; di morire combattendo pur di non cadere in un’umiliante prigionia; infatti, <<Libertas est Marte mori, servire malignum: nobis vita mori, vivere pena datur>> (“Nel morire in guerra è la nostra libertà, sciagura è il servire: per noi il morire è la vita, il vivere ci è dato come castigo”) (vv.791-792).
Parlando, poi, ai cittadini di Capua, rivolge loro una preghiera: <<Vos, precor, ospitibus non temerate fidem. Augusto servate fidem. Si forte, quod absit, Tancredum vestrum sanctificare placet, nos hinc incolumes obnixius ire rogamus>> (“Voi, vi prego, non violate il dovere verso gli ospiti. Serbate la fede ad Augusto. Se poi per caso, e ciò non sia, vi piace rendere onore al vostro Tancredi, noi insistiamo nel chiedervi di poter andare via di qui incolumi“) (vv.802-805).
Anche in questo caso, il poeta non dà onore, come per la resa di Enrico VI sotto le mura di Napoli, al conte Riccardo per il successo che ottiene contro Corrado: <<Regem polluto nominat ore suum>> (“E con bocca corrotta pronunzia il nome del suo re) (v.814); infatti, il tradimento dei capuani lo attribuisce a una tacita corruzione da parte di Tancredi e del conte d’Acerra. In realtà, la città di Capua di propria iniziativa decise di appoggiare Tancredi, anche per la débâcle che aveva colpito l’Imperatore sotto le mura di Napoli, da costringerlo al ritornare in Germania.
P.S. La traduzione dal latino è del prof. Carlo Manzione, dal libro “De rebus siculis carmen ad honorem Augusti” a cura di Mariano Pastore; mentre l’articolo è tratto dal libro dell’autore, Vittorio Campagna: <<Pietro da Eboli, Vate latino della letteratura italiana>>, de “L’Aurore edizioni”.
N.B. La traduzione dal latino del prof. Carlo Manzione, è offerta per gentile concessione dell’ ass. ne Culturale “Ebolus dulce solum, Storia e Arte al servizio della Cultura”.