La XXIV particola <<Domine coacta descensio>>, “La forzata partenza dell’imperatrice”, continua il tema precedente. Costanza, dopo il discorso del traditore Elia di Gesualdo, ha accettato di essere tradotta prigioniera a Palermo al cospetto di suo nipote, re Tancredi; ma per seguire Elia, Costanza pone solo una condizione: <<Gens annuat>>, inquit, <<Ut meus hinc salvo pectore miles eat>> (“Che i miei soldati partano di qui incolumi”) (vv.689-690). Il popolo accetta la condizione, e l’Imperatrice è fatta salire su una grossa nave che la condurrà a Palermo, nella città di suo padre.
Il poeta accenna a tre personaggi che la storia non riporta in nessun documento.
Il primo, è stato già ricordato in precedenza, l’arcidiacono Aldrisio, citato come delegato all’accampamento di Enrico VI, durante l’assedio di Napoli, nella XV e XVI particola. Fedele filo-Svevo chiede e ottiene di poter ospitare a Salerno l’imperatrice Costanza. Qui è ricordato solo come l’Archilevita (v.694).
Il secondo, è “Guilelmus de Pistilio”, “Guglielmo da Postiglione” (v. 697); anche lui filo-Svevo, il quale <<Maluit exilium quam temerare fidem>> (“Preferì l’esilio piuttosto che violare il giuramento”) (v. 698). Guglielmo era cognato di Filippo Guarna, che a sua volta era nipote all’Arcivescovo Romualdo Guarna, di stirpe longobarda, autore di un “Chronicon” longobardo.
Circa Guglielmo, il poeta fa riferimento al giuramento di Troia del 1189 a favore di Costanza, essendo morto Gugliemo II senza eredi. Pur di non tradire il giuramento preferì l’esilio.
Il terzo personaggio è l’ammiraglio Margaritone da Brindisi, il quale non compare in nessuna particola, né se ne fa cenno nella storia: il suo nome, Margaritus, è il terzo della finca sinistra nella miniatura della Carta 43, che vedremo più avanti; è la lista dei presunti congiurati contro Enrico VI, appena salito al trono del regno di Sicilia. Era fedele, quindi, a Re Tancredi ed è lui a guidare la nave che condurrà Costanza a Palermo, come prigioniera.
Costanza è pronta a partire. Abbandonata ogni paura e titubanza; si presenta all’imbarco fiera, ornata di tutto punto, come una sposa che va incontro allo sposo; indossa vesti intessute d’oro e un artistico mantello, coperto di gioielli, e dagli orecchi pendono gemme preziose lavorate e intagliate a forma di sole; sul petto si poggia una collana di gran pregio, mentre la persona emana delicati profumi. Così si presenta a Elia di Gesualdo, pronta per salpare verso Palermo <<Coniugis amplexus tanquam visura novellos fausta venit, navem scandit et illa volat>> (Come se andasse a ricevere i primi abbracci dello sposo lieta ella viene, sale sulla nave e quella corre veloce”) (vv.709-710), con prima tappa, Messina. Non è una prigioniera, ma la Regina del Regno di Sicilia e persino imperatrice del Sacro Romano Impero che rientra nella sua casa, nella casa paterna.
P.S. La traduzione dal latino è del prof. Carlo Manzione, dal libro “De rebus siculis carmen ad honorem Augusti” a cura di Mariano Pastore; mentre l’articolo è tratto dal libro dell’autore, Vittorio Campagna: <<Pietro da Eboli, Vate latino della letteratura italiana>>, de “L’Aurore edizioni”.
N.B.Per gentile concessione dell’ ass. ne Culturale “Ebolus dulce solum,Storia e Arte al servizio della Cultura” .