La particola è divisa in due parti: la prima riguarda la preghiera di Costanza per suo marito, per se stessa e, ancora, contro i suoi nemici. La seconda parte fa riferimento all’incontro dell’imperatrice con Elia di Gesualdo che dovrà condurla prigioniera a Palermo.
Il palazzo di Terracena in Salerno è ancora il luogo principale in cui si sta consumando il dramma dell’imperatrice. Dopo la preghiera rivolta a Dio perché punisca i suoi nemici, ora prega per suo marito, Enrico VI, affinché giunga sano e salvo in Germania; per se stessa, affinché venga liberata o almeno sopportare anche la morte sapendo che il suo Cesare è salvo. Comunque, non disdegna di ricordarsi dei nemici affinché Dio li annienti. Questo è il tema della Particula XXIII: <<Oratio salutaris>> (“Preghiera per la salvezza”).
Il brano poetico per ben sette volte introduce i versi con l’espressione: <Ex oriente Deus…>> (“Dall’oriente, o Dio…”) (vv.649-661). L’espressione sta a indicare l’origine ebraica della religione cristiana e quindi del Dio orientale nella persona specifica di Gesù. Tutti i versi fino, al 665, sono una preghiera per la salvezza di suo marito, che torni in patria sano e salvo; infatti, finché egli vive, neanche lei può temere niente; e comunque, in caso di sua morte lei morirebbe con lui perché non sopporterebbe tale perdita.
Così, abbiamo ripetutamente <<Ex oriente Deus…>>: “Dall’oriente Dio…” protegga, diriga e accompagni in ogni atto il suo Cesare; ma non trascuri di volgere lo sguardo ai sui nemici, prima benevolmente, come cristiana, quando afferma: <<Emolli duros, sexea colla doma>> (“Mitiga i duri, doma i cuori di pietra”) (v.658) dei suoi nemici; salvo, poi, chiedere vendetta contro gli stessi allo stesso Dio che li avrebbe dovuto ammorbidire: <<…Tumidos tere, perde superbos>> (“Reprimi i tracotanti, manda in rovina i superbi”) (v. 659). Ancora una volta, è presente un Dio Cristiano e un dio “strumento”, a proprio uso e consumo nelle sue mani..
Mentre prega così, giunge presso di lei <<…Proditor… Gisualdi venit Elias>> (“… Viene il traditor Elia di Gesualdo”) (v.667), il più accanito Tancredino, legato al re anche in un rapporto di parentela. Soffre di “gotta” come Matteo d’Aiello, cancelliere del regno, ma <<Sanguine non hominum didicit lenire dolorem nec sapit antidotum, seve Mathee, tuum>> (“Non ha appreso a lenire col sangue umano il dolore né conosce, o crudele Matteo, il tuo antidoto”) (vv.669-670); di Gesualdo, quindi, non conosce il rimedio del d’Aiello per alleviare il dolore, cioè quello di bagnare i piedi nel sangue caldo di un bambino appena ucciso, come ho avuto di esporre con la VI particola e la miniatura 8bis; infatti, lo trasportano a braccia perché non può camminare.
Ha il compito di condurre l’Imperatrice a Palermo come prigioniera. In questo frangente poetico è rievocata l’origine e la tradizione culturale degli “Altavilla”, quella della Normandia e quindi, di origine francese. Il casato originario, infatti, è denominato col termine francese di Hauteville e in siciliano Autavilla. Quasi come sfida, di Gesualdo parla a Costanza in francese con linguaggio forbito, sfidandola e invitandola ad abbandonare l’idea di conquistare il regno di Sicilia; perché lottare per un piccolo regno se si possiede il mondo? Del resto, chi vuol tutto e non sa rinunciare a una piccola cosa perderà ogni cosa essendo essa prigioniera; e come prigioniera sarà condotta a Palermo <<Sic populus, sic rex: hic perit, ille iubet>> (“Così vuole la gente, così il re: l’una lo chiede, l’altro lo ordina”) (v.680). Questa è la condizione dell’Imperatrice prima di essere trasferita a Palermo.
P.S. La traduzione dal latino è del prof. Carlo Manzione, dal libro “De rebus siculis carmen ad honorem Augusti” a cura di Mariano Pastore; mentre l’articolo è tratto dal libro dell’autore, Vittorio Campagna: <<Pietro da Eboli, Vate latino della letteratura italiana>>, de “L’Aurore edizioni”.
N.B.Per gentile concessione dell’ ass. ne Culturale “Ebolus dulce solum,Storia e Arte al servizio della Cultura” .