Enrico VI è ancora alle prese con l’assedio di Napoli ma in piena difficoltà; in questo quadro storico, Pietro da Eboli con la particola XV: <<Comitis percussio et Salerni exaudita petitio>> (“La ferita del conte e la richiesta esaudita di Salerno”) introduce anche un dramma che darà inizio alla decadenza della citta di Salerno a favore della città di Napoli e a quelle della Puglia, Foggia in particolare. Il quadro sarà più completo dopo aver letto fino alla XXV particola. Possiamo dividere l’attuale particola in tre parti.
La prima riguarda il ferimento del cognato di re Tancredi, il conte Riccardo d’Acerra sulle mura di Napoli assediata dai tedeschi, mentre osserva lo schieramento nemico. Un arciere lo trafigge da guancia a guancia costringendolo ad abbandonate la lotta.
La seconda parte, ritenuta la più importante dal punto di vista morale, racconta come l’Arcivescovo di Salerno, Niccolò si sostituisca a Riccardo ferito sulle mura partenopee; impugna la sua spada, e va a difendere Napoli assediata dall’Imperatore. Il poeta scrive: <<At miser antistes comitis succingitur ense, polluit oblita religione manus>> (vv.388-389) (“Ma il misero antistite (vescovo) s’arma della spada del conte, e dimentico di essere un uomo di Chiesa le sue mani contamina”). Secondo il poeta, è un atto più che mai disdicevole dell’’“alto prelato”, perché come uomo di Chiesa non avrebbe mai dovuto impugnare le armi in prima persona; questo suo atto porterà tristi conseguenze sull’Arcidiocesi di Salerno e sui successivi Arcivescovi durante l’era federiciana.
La terza parte verte sulla richiesta dei salernitani, favorevoli alla “Casa Sveva”, di ospitare Costanza moglie di Enrico VI. L’arcidiacono Aldrisio, in buona fede, chiede all’imperatore: <<Veniens tua nobilis uxor sublimis sedeat patres in urbe sui>> (vv.396-397); (“Venga la tua nobile sposa, soggiorni nella città del suo illustre genitore”). In effetti, Salerno era considerata la capitale morale del Regno di Sicilia. Era stata il Principato di Roberto il Guiscardo, il più famoso principe normanno. A Salerno, “Re Ruggero II”, nel 1127 ricevette la prima investitura (“nella città del suo illustre genitore”) sulle terre continentali dell’Italia meridionale; ancora a Salerno costruì la sua seconda residenza amministrativa del regno. Lo scopo dell’ospitalità era di tenere al sicuro l’Imperatrice fino alla fine delle ostilità con Tancredi.
È un invito accorato perché proveniva da salernitani di ogni età e sesso: <<Exponens iuvenum pectora, vota senum corda puellarum, mentes et gaudia matrum, et quicquid voti mens puerilis abet>> (vv.393-395) (“Riferendo i sentimenti dei giovani, i desideri dei vecchi, i cuori delle fanciulle, i pensieri e la felicità delle madri, e quante speranze può nutrire la mente di un fanciullo”). I Salernitani facevano molto leva, quindi, sul fatto che il padre di Costanza Ruggero II fosse stato anche “Principe di Salerno” sin da quando entrò in possesso delle terre appartenuti al cugino Ruggero di Puglia, morto senza figli nel 1127. A questa esortazione l’imperatore non poteva non acconsentire, così rispose: <<Quod petit, inquit, erit>> (v.409) (“Sarà quel che tu chiedi”) rivolgendosi al fedele arcidiacono. Tutti i cittadini favorevoli a Enrico VI, informati dell’arrivo all’indomani della regina Costanza, prepararono grandi festeggiamenti: <<Hec ubi legatus notat impetrata Salerni, sollempnem peragunt gaudia plena diem. Exit edictum dominam cras esse futuram, cuius in adventum se sibi quisque parat>> (vv.414-417) (“Appena il nunzio comunicò in Salerno ciò che è stato ottenuto, si trascorre tra grandi manifestazioni di gioia il giorno solenne. Un editto informa che l’indomani verrà la regina e tutti si preparano per il suo arrivo”).
Purtroppo, né Enrico VI né Costanza avrebbero mai potuto prevedere il comportamento dei salernitani filo-normanni che faranno prigioniera l’Imperatrice; evento che farà perdere alla città di Salerno la leader-ship nel regno; ma questo è un altro capitolo.