di Vittorio Campagna
Con questo terzo e ultimo libro, introdotto dalla Particola XLVII: <<Sapientiam invocat poeta>> (“Il poeta invoca la Sapienza”), il poeta da inizio al panegirico conclusivo su Enrico VI.
Il poeta, dopo aver cantato le gesta, le armi e gli eroi, postivi e negativi della successione dinastica normanno-sveva, tra guerra civile, tradimenti e congiure, abbandona la poesia storico-epica per dedicarsi solo a quella celebrativa. Pertanto, chiede l’aiuto delle muse: <<Desine, Calliope…desine tu Pean, celeberrima, desine, Clio>> (“Smetti, o Calliope… smetti anche tu, o Pan, e tu celeberrima Clio”) (vv.1471-1473) affinché desistano dal suggerire ancora guerre e lutti.
Ora è tempo di invocare la Sapienza, anzi la massima Sapienza, Dio stesso: <<Te peto, te cupio, Summi Sapientia patris>> (“Invoco te, te desidero, o Sapienza del sommo Padre”) (v. 1477); in questa parte conclusiva dell’opera, gli sia concesso di parlare solo dell’unico eroe: l’Augusto, re e imperatore che ha pacificato il Regno di Sicilia e il mondo. A guidare il pensiero conclusivo sarà la Bibbia, poiché il poeta ha invocato la Sapienza divina, anzi Dio Stesso.
Il poeta termina, infatti, con un’ultima invocazione alla Sapienza: <<Da michi cepta loqui, da ceptis, fine potiri. Possit ut Augusto Musa placere suo>> (“Concedimi di esporre le cose iniziate, concedimi di completarle, affinché possa la Musa esser gradita al suo Augusto”) (1503-1504). La stessa invocazione prepara al panegirico sublime della prossima particola: Enrico VI e la “ Sesta Era”, quella dell’oro, per l’umanità.