PER UN 25 APRILE SENZA IPOCRISIA (di Angelo Voza)
Eboli Società Storia

PER UN 25 APRILE SENZA IPOCRISIA (di Angelo Voza)

Nei miei ricordi, questo è il mio 25 Aprile.
Nel lontano ventennio, ad Eboli, un giovane Angelo Maria Voza (classe 1891), Cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto, proveniente da Capaccio, era stato insieme al fratello Peppino proprietario terriero e poi fattore dei terreni dei Baroni Moscato. Una sera consumava, come era suo solito dopo le fatiche dei campi in quel periodo, un bicchiere di vino nella cantina posta in via Matteo Ripa sopra le scale che portano al corso Garibaldi. Passa la ronda del fascio, con il loro vessillo al cui cospetto tutti si dovevano alzare, togliere il cappello e salutare in segno di rispetto. Angelo Maria, era seduto di spalle all’ingresso della cantina, e un po’ per sfida, fa finta di nulla. Non aveva visto la ronda fascista anche se intorno a sé gli altri avventori si erano alzati. Il capo ronda del fascio ci vede un’offesa e gli intima di alzarsi e salutare il gagliardetto e, nel contempo, lo afferra di spalle dal bavero della giacca e lo trascina a terra. Si apre la giacca e, sfortuna, fuoriesce dalla tasca interna la foto di Giacomo Matteotti di cui Angelo Maria era un estimatore. Inutile dire. Giù botte con i manganelli mentre gli altri avventori impauriti si allontanavano. Venne in soccorso al malcapitato Angelo Maria una pattuglia di Carabinieri che lo conoscevano ed a fatica riuscirono a portarlo nella loro Caserma, con la scusa di doverlo identificare ma in realtà per sottrarlo agli esagitati fascisti. Caserma dei Carabinieri che in quel periodo era proprio lì vicino, al Corso Garibaldi, sopra al bar Pendino. Stette lì rinchiuso alcuni giorni per far calmare i manganellisti e poi poté ritornare a casa pieno di lividi.
Ho letto tutti i libri di Gianpaolo Pansa. La mia idea sulla Resistenza non è da tifoso o da automa indottrinato.
La gloria dei Partigiani veri è indiscutibile. Quelli che hanno avuto quale unico scopo scacciare i Nazisti e cancellare le pagine infauste di un regime Fascista che ha avuto pochi meriti e tanti demeriti, un po’ come tanti partiti moderni. I finti partigiani, spuntati come funghi dopo l’intervento bellico dei “nuovi padroni” (e mai alleati) a stelle e strisce, indossando indegnamente fazzoletti rossi, hanno compiuto atrocità molto più gravi di quelle commesse dai peggiori fascisti. Atti destinati a compiere vendette trasversali sporcando il vero valore della Resistenza. Furono trucidati senza motivo innocenti anche tra le fila dei Carabinieri e dei Finanzieri. Questa non era Resistenza ma genocidio, guerra civile.
Più di tutto, nella lettura dei libri di Gianpaolo Pansa, mi ha colpito una storia emblematica, una delle tante, che ha macchiato in modo indelebile nei miei pensieri la Resistenza ed i veri Partigiani.
È quella della tredicenne (leggi bene, 13 anni) Giuseppina Ghersi.
Aveva 13 anni ed era figlia unica di una coppia che aveva un negozio ortofrutticolo a Savona. Il 26 aprile 1945, il giorno dopo l’insurrezione di Milano, un gruppo di pseudo partigiani, con il fazzoletto rosso al collo, raggiungono il suo paese. Dicono di cercare pericolosi fascisti ma arrestano i suoi genitori che non avevano neppure la tessera del Partito Nazional Fascista. I coniugi restano perplessi, ma avendo la coscienza a posto collaborano con quegli uomini armati. Consegnano loro le chiavi di casa e del negozio (uno dei pochi aperti e riforniti nonostante la guerra) e attendono fiduciosi che la situazione si chiarisca. Nel corso degli interrogatori chiedono della loro figlia. La vanno a prendere a casa di amici e la portano in un posto per interrogarla. Senza che potesse comprendere del perché, iniziano a picchiarla ed a prenderla in giro. La piccola ragazza (13 anni) resta attonita, nonostante le botte. Perché tutto questo? Cosa avrà mai fatto di male? Poi le rasano i capelli e le disegnano una M sulla faccia. Ammanettata alle spalle viene portata in sfilata nelle strade del paese. E lì accade un’altra cosa incredibile: alcuni concittadini ridono e partecipano a questa cosa orribile. Altri, con le facce scure, probabilmente non sono d’accordo ma nessuno muove un dito o emette un fiato. Non hanno pietà di una bambina. Perché tutto questo? Lo si capirà quando gli pseudo partigiani spiegano alla folla che era la “puttana di Mussolini”, per via di un tema da lei scritto a scuola che venne premiato dallo stesso Duce con un encomio ufficiale, come accede anche oggi nelle scuole democratiche di questa Repubblica. Poi viene accusata, senza prove, di essere una spia delle Brigate Nere. Una bambina? Spia? A tredici anni? Dopo la sfilata della vergogna, la povera Giuseppina, tredicenne, era atterrita e sgomenta, mentre i “partigiani” sorridenti e soddisfatti la portano in un luogo dove dapprima viene violentata, poi la prendono a calci su tutto il corpo, davanti ai suoi genitori, ed infine le sparano un colpo di pistola alla testa. Più tardi scaricheranno il suo corpo davanti all’ingresso del cimitero del paese come se fosse un sacco di patate.
Nel frattempo, dopo aver picchiato ancora i suoi genitori, razziano il negozio e la casa, asportando ogni genere di cose. Al padre, continuando a torturarlo, chiedono con insistenza dove nasconde gli altri soldi. Infine, convinti di aver ottenuto il massimo, liberano sia lui che la madre dopo giorni di violenza.
Giovanni, il papà, in seguito denunciò l’accaduto alle autorità fornendo persino il nome dell’assassino, lo pseudo partigiano comunista Pino Gatti di Bergeggi, ma non venne aperto neppure un fascicolo d’inchiesta perché era intervenuta l’amnistia.
Per decenni, dopo questo fatto orribile, la povera Giuseppina ha vissuto nel limbo dei dannati. Senza Giustizia terrena e senza la memoria degli uomini. Il suo martirio, le sue sofferenze, finite nel dimenticatoio. Come se fosse stata il nulla. Un modo ben peggiore per farla scomparire dalla memoria dopo le gratuite e terribili sofferenze che ha dovuto patire senza nessun motivo. Poi, qualche anno fa, nel comune di Noli (SV), pensarono di apporre una targa col suo nome per far sì che almeno postumo il nome di Giuseppina Ghersi potesse essere riabilitato.
Non se ne fece niente perché l’Associazione Nazionale Partigiani di Savona, attraverso il presidente Samuele Rago, annunciò proteste di ogni genere. Per loro “Era una fascista, una spia dei fascisti…” invece per me era una bambina di 13 anni, null’altro che una bambina.
Senza Giustizia non può esserci Pace. Senza Pace non c’è nulla da festeggiare. E questo è, piaccia o meno. Il resto è solo ipocrisia.