di Vittorio Campagna
Tancredi, ricevuto la lettera della moglie piena di rimproveri, non è in grado di darle delle direttive sul da farsi; pertanto, è costretto a demandare il tutto al suo prezioso e fedele cancelliere: Matteo d’Aiello, appellato dal poeta, ancora una volta, <<Il sacerdote bigamo>>. Infatti, la Particola XXXI dal titolo:<<Uxor Tancredi et bigamussacerdos>> (“La moglie di Tancredi e il sacerdote bigamo”),ne detta il contenuto.
Come suggeritole dal maritoSibilla convoca Matteo per ottenere consigli per lenire le sue sofferenzecreate dalla difficoltosa convivenza con l’imperatrice, con queste parole: <<O veterumbibliothecaducum, o regni tutela, fides purissima regum, antidotum vite, consule, mesta queror>> (“O tu che sai tutto degli antichi duchi. Garanzia del regno, purissima lealtà verso i re, angosciata, ti prego di aiutarmi, consigliami”)(vv.926-928).
La Regina continua a rammaricarsidi Tancredi con il cancelliere, poco assennato di cui dovrà pentirsi da vecchio, prevedendo la reazione che i suoi ordini provocheranno presso il “Signore del mondo”, come quello di aver sequestrato Costanza.
Poi la sua attenzione è rivolta verso quest’ultima per l’inquietudine che le suscita: <<Quespesregnandivelquemichi vita superstes, cumprope me patrio iure superba sedet? Et quotiens video, queCesaris ore superbit, a, tociens animus deficit inde meus>>: “Quale speranza di regnare o quale vita mi resta, se mi sta vicino costei superba del diritto paterno>? E ogni volta che la vedo ostentare atteggiamenti regali, ahimè, altrettante volte il mio animo viene meno” (vv.933-936).
Matteo risponde come garante del regno e dello stesso re Tancredi. Esordisce con un elogio alla regina definendola di mente aperta, come suggerisce il suo nome, Sibilla: <<Namproculexperta mente futura vides>>: “Perché in anticipo con mente esperta prevedi le cose future”(v.940); paragone, quindi, lamentedella regina a quella della Sibilla cumana che prevedeva il futuro.
Poi passa a giustificare le azioni del re con malcelata ironia, attribuendo eventuali errori ai suoi gravosi impegni perché <<Plurima cor nostri regis agenda gravant; implicitusmultumdominantissensusoberrat>>: “Molte faccende opprimono i pensieri del nostro re; la mente troppo occupata di chi regna si smarrisce”(vv. 942-943); circa, poi, la “custodia” di Costanza, afferma che molto difficile trovare un luogo sicuro, <<Et quia castra fidemquam plurima non bene servat, urbesspemmodicecredulitatishabent, vertitur in dubium, quo sit custode tuendavel quo servetur preda verenda loco>>: “E poiché tantissimi castelli non sono ben fidati, le città danno scarsa speranza di fedeltà, è difficile decidere da chi debba essere sorvegliata o in qual luogo debba essere tenuta la temibile preda“(vv.945-948). Allora, Matteo rivela a Sibilla di “custodire” Costanza al “Salvatore”, un castello inaccessibile su un’isola nel golfo di Napoli, oggi, denominato Castel dell’Ovo. Una fortezza che risale ai tempi di Virgilio, custodita dal conte Alierno(v.961) personaggio citato dalla storia unicamente da Pietro e solo indirettamente da Riccardo da san Germano (anno 1191) circa la contea di Fondi: <<Et comitatusFundanuscuidamfratriAlygerniCotronis de Neapoly“La contea di Fondi fu affidata dal re a un fratello di AligernoCotrone di Napoli”>> (Ciolfi ed.pp.35-36).La soluzione presa da Matteo piace alla regina, e l’imperatrice è subito imbarcata per Napoli.
N.B. La traduzione dal latino del prof. Carlo Manzione, è offerta per gentile concessione dell’ Ass. ne Culturale “Ebolusdulcesolum, Storia e Arte al servizio della Cultura“; mentre, l’articolo è tratto dal libro dell’autore, Vittorio Campagna: <<Pietro da Eboli, Vate latino della letteratura italiana>>,de“L’Aurore edizioni”, Torchiara 2018.