Oggi, 2 aprile 1985 ………..
Da due giorni avevamo passato la consegna della scorta autorità ai colleghi della Squadra Mobile di Trapani. Era una mattina senza sole, ma calda.
Con i miei colleghi ero davanti alla Caserma di via Valona e ad un tratto riconosco dietro di me il rumore del motore della Fiat 132, la blindata assegnata al dottor Carlo Palermo.
L’autista Rosario Maggio si ferma scende e come sempre mi saluta con un abbraccio e un bacio alla siciliana maniera. Segno di stima ed affetto che ancora conservo verso persone che stimo.
“Angioletto sto andando a prendere il dottore. Fra mezz’ora ci vediamo sotto il Tribunale per il caffè”.
“Va bene Rosario mio, ci vediamo lì”. Il rito del caffè era giornaliero con chi condivide con te quel percorso di vita.
Salgo in ufficio, le carte di indagini sono sempre tante e cerchi di dare sempre il meglio di te stesso. Poi i colleghi che ho sempre reputato fratelli, il Comandante, un fratello maggiore. La nostra era una Squadra molto affiatata.
Sguardo veloce ad un fascicolo e con i colleghi decidiamo cosa fare. Appostamenti, ricerche di collegamenti. Uno sguardo veloce al calendario: 2 aprile ……………..
Mentre ci scambiavamo delle idee sul da farsi, giunge un fortissimo boato. I vetri tremano. Noi fermi a fissarci negli occhi.
Non era la prima volta che sentivamo “botti” perché a qualche chilometro da noi c’erano le cave di marmo di Custonaci e la direzione dello scoppio era la stessa. Ma questa volta era troppo forte.
Qualcosa non mi convince. Scendo con il mio fraterno amico alfista e arrivo davanti al portone. Tutti avevano sentito l’esplosione.
Nel mentre giungo sulla strada sento delle sirene arrivare. Mi giro ed erano le auto della Polizia che passano veloci direzione Bonagia dove abitava il dottor Carlo.
E’ una frazione di secondi, attimi. Arriva di corsa fuori la caserma verso di me il collega della Sala Operativa: “Angelo c’è stato un attentato al dottor Palermo”.
Pochi secondi e sono in macchina. Sirene, veloci …………….. altre auto dei Carabinieri e ancora Polizia tutti nella stessa direzione.
Arriviamo a Pizzolungo. Strada bloccata da pattuglie. Passiamo senza neppure rallentare. Iniziamo a fare zig zag tra pezzi di motori e lamiere di auto sparse sull’asfalto già molti metri prima del luogo dell’attentato.
Arriviamo vicino alla Fiat 132 tutta deformata. Dietro la Ritmo dei colleghi con tutti i vetri frantumati.
Odore di esplosivo brillato. Giubotti antiproiettili sull’asfalto insanguinati.
I colleghi della Polizia e l’autista Rosario tutti seriamente feriti, tutti in ospedale.
Il dottore Carlo ha avuto la forza di andare prima in ufficio in Procura ma poi l’hanno trasportato in ospedale.
Giro in quell’inferno terrestre tra colleghi con sguardi smarriti, attoniti. Troppo scempio.
Una dinamica atroce. La macchina con una giovane madre ed i suoi due gemellini ha fatto da scudo nell’esplosione alla blindata del magistrato ed è stata disintegrata. Scomparsa, volatilizzata.
“Bastardi, bastardi” mi ripetevo. Averli tra le mani quei bastardi. Esseri ignobili ed infami.
Noi, con le nostre scelte di vita e con un giuramento lo mettiamo in conto che un giorno come il 2 aprile potrebbe arrivare ed essere l’ultimo. Noi l’abbiamo scelta questa vita, ma la signora Barbara, no. Salvatore e Giuseppe di sei anni, no.
Quella villa dista quasi cento metri ed ha una facciata bianca rivolta verso il mare. Rivolta verso il punto dello scoppio. Sulla parete bianca in alto c’è una strana macchia rossa. Di un rosso troppo intenso e forte.
Ci avviciniamo e vedo dei colleghi con le lacrime. Per terra, in corrispondenza della macchia posta in alto, brandelli umani. Era uno dei gemellini, per terra sparsi c’erano dei quaderni di scuola con dei disegni che gridavano “perché”.
Via radio la Centrale non smette di dare direttive: “Portatevi subito in Ospedale. Sicurezza al dottor Palermo”.
Sulla strada per l’Ospedale c’era la mia casa. Chiedo al mio collega alfista Tommaso di fermarsi un attimo. Salgo di corsa la rampa di scale. Mia moglie mi chiede cosa era successo. Aveva avvertito lo scoppio e le sirene. A quel tempo niente cellulari e neppure il telefono in quella casa dove abitavo da poco.
Non parlo e lei capisce. Vado dritto in camera da letto dove nella culla dormiva la nostra piccola Lucia. Aveva pochi mesi. Era nata a gennaio. L’accarezzo e piango in silenzio. Dei bambini, due gemellini di sei anni, come lei volevano vivere ma da quel giorno non c’erano più. L’ho accarezzata come fosse la prima volta e nello stesso tempo come se fosse l’ultima.
Mi giro per andare. Mia moglie mi abbraccia in silenzio. Non sa quando mi avrebbe rivisto perché quei giorni sarebbero stati senza tempo.
Era il 2 aprile. Un giorno che ha cambiato la mia esistenza, la mia vita e quella di tante altre persone.
Ha segnato lo spartiacque di una scelta. La nostra vita per difendere un ideale di giustizia e la speranza per una nuova primavera.
Ho portato sempre nel mio animo questi ricordi. Ho vissuto con Uomini che hanno scritto pagine di storia. La nostra storia, quella fatta di Eroi semplici che hanno lasciato tracce indelebili nel cuore di chi ha avuto l’onore di condividerne i momenti.
In questo nuovo 2 aprile un mio pensiero ed una preghiera per la signora Barbara e per i gemellini Salvatore e Giuseppe, anime innocenti sacrificate da esseri scellerati e senza Dio.
Belve ben descritte da Peppino Impastato e che condivido fermamente: “La mafia è una montagna di merda” ed io aggiungo “ i mafiosi, i camorristi e ‘ndranghetisti ne sono la materia prima: merda”.
Oggi 2 aprile 2022 … oggi 2 aprile 1985.
Angelo Voza
Responsabile scorta del giudice Carlo Palermo a Trapani
(Nelle foto Angelo Voza con il giudice Carlo Palermo)