CONTINUA LA NOSTRA FRUTTUOSA COLLABORAZIONE CON LA GIOVANE INTELLETTUALE SARDA, SARA CARVONE, AUTRICE DI PUNTA DELLA CASA EDITRICE “IL SAGGIO” DI EBOLI DEL CAV. GIUSEPPE BARRA. LE MAGNIFICHE TRADIZIONI DELL’ISOLA CONTINENTE AL CENTRO DI UN COMPENDIOSO ARTICOLO: A VOI TUTTI AMICI DEL MAGAZINE CO-MUNICARE, VI AUGURIAMO UNA BUONA LETTURA
ASA EDITRICE “IL SLe tradizioni sarde: Is Animeddas
di Sara Carvone
Alla scoperta delle festività dell’Isola
Tutti conosciamo l’usanza celtica di Samhain, vero nome di ciò che ai giorni nostri chiamiamo Halloween. A fine estate, in Irlanda, i frutti del duro lavoro nei campi erano assicurati e le scorte approntate per l’inverno: per la collettività era ora non solo di riprendersi dalle fatiche ma anche di ringraziare le divinità per il benestare che avevano ottenuto. Ciò avveniva per l’appunto tramite Samhain. Inoltre, per festeggiare venivano accesi enormi falò, fatti dei sacrifici e aperti i tumuli funerari, considerati dei veri e propri portali per l’altro mondo. In Sardegna condividiamo la tematica della morte coi celti e gli anglosassoni e proprio per questo motivo, la nostra festività si chiama “IsAnimeddas” (in sardo, “le animelle”) ma la sua denominazione cambia a seconda della zona dell’Isola in cui vi trovate: “Su mortumortu” a Nuoro, “Su Peti Cocone” a Dorganie “Su Prugadoriu” in Ogliastra. Secondo le leggende nella notte dedicata ai defunti, quella fra il 31 ottobre e il 1 novembre, le porte del purgatorio andrebbero aprendosi, lasciando alle anime penitenti la libertà di circolare per ricongiungersi momentaneamente ai propri cari ancora in vita. I festeggiamenti più antichi vedevano dunque i familiari offrire cibo per onorarli, questo valeva anche per le anime più sfortunate cui non avevano nessuno a cui fare ritorno. Basti pensare alla figura folkloristica oristanese nominata Maria Puntaoru (Maria Punteruolo) che morì di vecchiaia e soprattutto a stomaco vuoto, per questo – ancora oggi – i bambini le lasciano un piatto di pastasciutta perché altrimenti col suo punteruolo bucherebbe loro la pancia per recuperare i resti della cena e farli suoi. Sempre i bambini come per l’attuale Halloween, si travestivano di stracci e “andavano a is animas” come si soleva dire, ovvero a bussare ai portoni altrui per chiedere un piccolo dono che avrebbe alleggerito dalle pene l’anima dei defunti. Non essendoci la commercialità che vi è ora, non esistevano certamente cestini in plastica a forma di testa di zucca per depositare questi doni: si recuperava il sacco di tela vuota della farina o una vecchia federa. Le persone attendevano i bambini dinnanzi al portone e quando i piccoli tendevano la mano dicendo “seusbeniuspoisanimas” (“siamo venuti per le anime”), si rispondeva:”po s’anima de mammai mia” (per l’anima di mia madre)dipendeva chi era il defunto in quella famiglia e veniva successivamente consegnato il dono. Alla fine quando il sacchetto dei doni era piano di castagne, mandorle e dolci, si rincasava e depositando tutto sul tavolo adibito a banchetto per i defunti, si pregava. I genitori mettevano a letto i figli e raccomandavano loro di non alzarsi dai letti per girovagare per casa poiché i defunti sarebbero stati disturbati durante il loro pasto, verso mezzanotte. Immaginate lo stupore dei piccoli, quando al loro risveglio trovavano la tavola sparecchiata: in quel caso, i defunti, avevano gradito il cibo e tutte le offerte fatte dai loro parenti.