Un dossier, come riportano Marco Imarisio e Simona Ravizza del Corriere della Sera di oggi, svela come ha avuto inizio il contagio ad Alzano lombardo e Nembo, definiti anche causa de “la strage di Bergamo”. Secondo quanto si afferma nei rapporti aziendali del 3 e 8 aprile 2020, i responsabili della sanità lombarda si sarebbero attenuti ai protocolli provenienti dal Governo e a quelli attinenti della Regione Lombardia; inoltre, il personale medico avrebbe preso tutte le misure cautelative necessarie per tutelare se stessi, i pazienti e i visitatori dell’ospedale; per quanto sopra, alcuna responsabilità sarebbe da attribuire alle aziende ospedaliere. In realtà, ci sarebbero due spartiacque caratterizzati da due eventi inconfutabili per individuare le eventuali responsabilità dirette delle aziende ospedaliere lombarde coinvolte, indipendentemente dallo scaricabarile reciproco delle rispettive responsabilità, come emergerebbe dagli stessi rapporti aziendali.
Il primo spartiacque è da individuare nella data del 23 febbraio, quando il Governo con il Dpcm n°6 aveva già definito le zone rosse del contagio in Lombardia e Veneto, col divieto assoluto “di entrata e uscita dalle zone ritenute focolai, e l’obbligo della quarantena per chi ha avuto contatti stretti con casi confermati di malattia”. Ebbene, pur non volendo calcare la mano sui comportamenti del personale ad Alzano precedenti alla data del 23 febbraio, è d’obbligo mettere a fuoco degli aspetti gravi per la stessa sanità lombarda. Per correttezza riporto le stesse parole dei due giornalisti del Corriere della Sera odierno: <<Molti familiari degli anziani deceduti prima e dopo il 23 febbraio raccontano, invece, di aver avuto libero accesso alla salma del defunto e di essersi radunati intorno a lui, vegliando la bara aperta. All’inizio la direzione del “Pesenti Fenaroli” (l’ospedale di Alzano Lombardo. N.d.a) aveva dato disposizioni per proibire contatti tra vivi e morti. Ma dopo le proteste presso la Regione di alcuni parenti ha fatto marcia indietro. Ancora il 2 marzo «sulla scorta delle richieste pervenute dal territorio», una nota del “Governo Regionale” riteneva sufficienti «precauzioni standard». La circolare della Lombardia che vieta ogni contatto con i defunti di Covid-19 “prima e durante l’attività funebre” arriverà il 12 marzo>>. Per la cronaca, i primi tamponi ad Alzano sono stati eseguiti il 22 febbraio (ritardo di dieci giorni dal primo caso), mentre il giorno dopo sono pervenuti i risultati positivi al Covid-19 dei deceduti che avrebbero confermato di aver tenuto in seno per oltre 13 giorni (dal 10 febbraio primo caso) un focolaio di portata pandemica; e anche dopo lo “svelamento dei tamponi”, al “Pesenti Fenaroli” ancora si è permesso un rapporto “stretto” tra personale medico già infetto, pazienti e deceduti col Covid-19 e visitatori; un rapporto stretto da divenire una bomba nel suo pieno “flagrore”. La data del 23 febbraio quindi è anche la conclamazione pubblica del “coronavirus” nell’ospedale di Alzano lombardo.
L’altro spartiacque è l’evento accaduto proprio il 23 febbraio. L’ospedale di Alzano, venuto a conoscenza della “positività” dei tamponi relativi ai deceduti, va nel panico perché avrebbe preso coscienza degli errori commessi in precedenza e la leggerezza con cui avrebbe affrontato il Covid-19. I responsabili del nosocomio commettono, cosi, atti inconsulti e contraddittori. Prima decidono la chiusura e l’evacuazione del pronto soccorso; due ore dopo la stessa decisione è revocata. Giustificano la chiusura temporanea di due ore del pronto soccorso perché avrebbero provveduto a concertare i provvedimenti con i competenti uffici regionali, ma alla centrale Areu, responsabile degli interventi in ambulanza per le provincie di Bergamo, Brescia e Sondrio, risulta invece una comunicazione dal tono più perentorio: <<Si chiude, a tempo indeterminato>>; mentre, sul sito della Croce verde appare un messaggio urgente, oggi, sembra, non più disponibile: <<Pronto soccorso di Alzano chiuso e in isolamento. Non recatevi e in caso di bisogno chiamare il 112>>. L’isolamento invece dura solo due ore. Nonostante la «collegialità», la riapertura risulta una decisione unilaterale della Regione>>. Il 23 febbraio, quindi, è la data che evidenzia le falle della Sanità locale e regionale; infatti, solo come nota, anche la Regione Lombardia, interviene in ritardo, dopo 18 giorni, 12 marzo, con una propria circolare sul rapporto tra defunti e parenti.