BEN: LA NUOVA FIABA DI MARIAGRAZIA TOSCANO
Fantasy Letteratura Meridione

BEN: LA NUOVA FIABA DI MARIAGRAZIA TOSCANO

Ben

Ben era un ragazzo molto più sveglio rispetto ai ragazzi della sua età.
Sapeva di essere al limite delle sue forze, ma nonostante tutto, continuava a correre. Non poteva mollare ora, non dopo tutto quello che aveva già superato, sapendo anche delle creature che intento a  schivare da giorni, s’ immaginava ancora dietro di lui, con gli occhi e il cuore bramosi   ogni volta che pensava al prezioso oggetto che custodiva con estrema cura.
“Non mollare…”, diceva fra sé, “…fallo per lui!” e mentre continuava a ripetere queste parole come un mantra, all’orizzonte si affacciava la fine del deserto di cristallo e l’inizio delle terre del suo Signore, un luogo dove sarebbe stato al sicuro.
Pervaso da un sorriso spontaneo, Ben sollevò il mantello nero, sporco ed a brandelli per osservare la clessidra posta alla sinistra della sua cintola, contenente poca sabbia.
Il sorriso si trasformò in una smorfia, il mantra diventò un’imprecazione e Ben ripartì più forte e determinato di prima, consapevole di dover lottare anche con la natura beffarda del tempo, certo di riuscire a portare a termine, finalmente, la sua missione
Superato il confine, si appoggiò stremato accanto  ad una quercia, cercando di riprendere fiato il più rapidamente possibile. Poi, istintivamente, controllò che l’oggetto fosse ancora integro sbirciando l’interno della sua tracolla di pelle bianca, liscia e rotonda come il ventre di una donna gravida.
Dalla sacca, l’oggetto sembrava grande come la luna piena scrutata dalla terra, una palla calda, rotonda e soffice come una nuvola, simile ad una bolla di sapone.
“Ce la faremo…” gli sussurrò Ben e proprio in quell’istante il suono duro e pesante di zoccoli annunciò una carrozza guidata da un tipo con guanti di pelle nera e lucida, che stringevano le redini del cavallo di cuoio marrone e logore. Nell’aria, una voce calma esclamò: “Siete in ritardo, Signorino!”
“Alfred,- urlò il ragazzo già aggrappato al nuovo mezzo di trasporto,- Corri!…Via!”
Giunto al castello, Ben si precipitò nella sala colma di fiori, spalancò la porta senza nemmeno bussare, pronunciando a voce alta la frase “Eccolo, mio Signore”. Poi un nodo si formò in gola e continuò con un tono più basso “È quasi ora! ”.
“Grazie!” pronunciò il Lord con un timbro regale mentre con un sorriso tenero e dolce rivolto al suo piccolo servitore continuò: “Resti con noi fino alla fine?”
Ben, che nel frattempo aveva già aperto la sacca facendo fluttuare nell’aria il suo contenuto, fece sgorgare piccole lacrime dagli occhi  cercando di non farlo intendere al suo padrone e  con il mento ancora tremolante, rispose: “Scusate mio Signore, non ci riesco proprio!” e scappò via facendo richiudere le porte dietro di sé.
La bolla di sapone fluttuò nell’aria leggera e imprevedibile come una farfalla, fermandosi ad un soffio di distanza dal Lord che avvicinando le sue labbra alla sfera la sfiorò appena con un timido bacio.
In un silenzioso “plop” l’involucro esplose liberando una sottile polverina color oro nell’aria come   tanti piccoli granelli che sembravano delle stelle luminose sospese a mezz’aria.
Sensazioni profonde, quasi aliene, percepite in nove mesi di vita da ogni singola creatura e scomparse poi in un ricordo custodito ad un livello di coscienza inaccessibile alla mente, pervasero l’intera stanza avvolgendolo con la stessa intensità di un sogno innocente tipico di un neonato ancora lontano dall’abbraccio del male.
Calore, fragilità, curiosità, sicurezza, il battito di due cuori all’unisono, la vibrazione prodotta da una voce familiare e rassicurante, la carezza di una mano delicata che ti sfiora ogni volta che si accarezza dolcemente il ventre, e poi l’amore, l’affetto, il volto di un bambino nell’atto di formarsi con il suo sorriso riflesso ed i suoi occhioni grandi, ancora troppo piccoli per vedere, le dita unite che annaspano quasi per gioco nel liquido tiepido che le circonda; una qualche forma di pensiero priva della nostra logica ma con conoscenze che l’uomo non raggiungerà mai,  sogni ancestrali nascosti e stimolati dal proprio patrimonio genetico…
E poi una fitta che attanaglia il cuore… il desiderio di vivere, la speranza di avere quell’unica possibilità di essere sé stessi, quel singolo e fragile appiglio al quale aggrapparsi,  prima di essere   reciso come un fiore.
Un battito di ciglia e tutto ritornò come prima, mentre fuori, sulle mura del castello, sotto una luna  straziata dalle nuvole, un uomo  nel gesto di riporre in tasca i suoi guanti, spiegò ad un ragazzino, ancora scosso, il senso di quanto accaduto quella notte: “L’essenza stessa di ogni forma di vita uccisa  ancor prima di nascere reclama il diritto di poter scegliere,  vivere e realizzarsi…anche solo per un istante!”.