La nota artista leccese recensita dal Prof. universitario, Nuccio Mula, pubblicata domenica scorsa sul quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno”; un ulteriore autorevole riconoscimento per l’opera dell’eclettica Elisabetta Zappa, onusta di successi da parte della critica come del pubblico.
PREFAZIONE
“Ho dato appuntamento qui al Passato.
Mi aggiro qui, in attesa del Passato”.
Gunnar Ekelof
Siamo qui non per commemorare un passato ma per riviverlo, grazie a quest’opera preziosa, inseritasi con
dignità nel gran numero di pubblicazioni consimili che conferiscono grande dignità ed autorevolezza al
processo di recupero della memoria territoriale e del patrimonio monumentale di Lecce barocca e splendida,
di un’individualità collettiva, territoriale, culturale, etnica, geografica, storica: tutti argomenti incastonati
l’uno dentro l’altro come le finestre di Windows o, escludendo la tecnologia, come inossidabili “matrioske”.
Il tutto a valorizzazione e tutela di questo patrimonio inestimabile e straordinario, ivi compresa, in tal senso,
l’attività di un ricostruire non soltanto doverosamente conservativo ma anche da un punto di vista museale.
Il recupero della memoria, quindi, come tutela di un popolo e del suo multivalente patrimonio, e come
orgogliosa consapevolezza dell’essere e del proporsi di quella terra e dei suoi abitanti, poiché “la Storia è
testimonianza del passato, luce di verità, vita della memoria ed annunciatrice dei tempi antichi” (Cicerone).
Molti altri Grandi, nel corso dei secoli, hanno individuato e descritto il ruolo della memoria. Tanto per alcuni
esempi: “Un popolo che non ha memoria storica non è un popolo civile” (Goethe); “E’ il rispetto per la
memoria storica il tratto che distingue la civiltà dalla barbarie” (Puskin); e proprio la Memoria ha etimo di
madre, pensiero, desiderio, amore, conoscenza, dottrina, cura, sollecitudine, testimonianza ad un Presente
che ha colpevoli tensioni d’Oblìo a fronte della sovreccitazione di nuovi abomini volti ad agganciare un
Futuro liberandosi da un Passato ignorantemente visto come zavorra gravosa, ingombrante, insopportabile.
“Solo questo è negato anche al Dio: cancellare il passato” (Agatone, tragediografo del V secolo a. C., citato
nell’Etica Nicomachea): ma la stoltezza del genere umano è riuscita a superare persino l’onnipotenza di Dio.
“Quando arriverete laggiù, laggiù non esisterà più”, fu la tremenda e veridica profezia di Gertrude Stein
allorquando ebbe a riferire della materiale “scomparsa”, nei primi del Novecento, di interi antichi quartieri
“storici” in alcune metropoli Usa, che erano stati vittime sacrificali di un progresso ai danni del Passato, ai
soli danni di “un mondo sotto il pavimento di un altro mondo” (Nat Scammacca) iniquamente sepolto vivo
da chi non aveva saputo e voluto valutare che “la grande sconfitta, in tutto, è dimenticare” (Louis F. Céline);
ed ecco perché “la parte migliore della nostra memoria è fuori di noi, nel soffiare d’un vento di pioggia,
nell’odor di rinchiuso d’una camera, nell’odore di una prima fiammata, dovunque ritroviamo di noi stessi
quel che la nostra intelligenza, non sapendo impiegarlo, aveva disprezzato: l’ultima riserva del passato, la
migliore, quella che, quando le nostre lacrime sembrano esaurite, sa farci piangere ancora” (Marcel Proust):
E n tale dichiarazione d’intenti e insostituibile preliminare d’intesa vanno a collocarsi alcuni dei termini
erroneamente deprivati d’autonomia del significare, poiché considerati, nell’uso quotidiano (e purtroppo non
solamente, aggiungersi, solo sinonimi di Memoria: in pochi esempi, anzitutto quel Ricordo che, in realtà,
etimologicamente e terminologicamente ha significato denotativo, ergo prioritario, di “riandare col Cuore”,
poiché “il vero valore del ricordo sta in questo: che ci fa capire che nulla è mai passato” (Elias Canetti) ed
“ogni vero ricordo è ancora un richiamo, una verità che ci brucia nelle ossa, un febbrile atto di sfida al buio
di domani (Giovanni Arpino, “L’ombra delle colline”, VI), tant’è che un ormai vecchio spot della Kodak era
lapidariamente e splendidamente un monito che, al tempo, divenne celebre, e cioè “Ricordati di ricordare”;
per proseguire con il Rimpianto, un percuotere forte di pianto sul cuore; con la Malinconia, la coscienza di
voler fare dell’estraneazione il proprio mondo in una realtà non possedibile se non solo rendendola irreale; e
con la Nostalgia, dolore e viaggio (“algìa”) della mente (“noùs”), ergo sentimento commisurato e riferito ad
un solo luogo, il “luogo dei luoghi”, quello in cui si è nati, che ha odori, sapori, visioni, echi inconfondibili e
unici; “luogo dei luoghi”, tuttavia, quasi sempre senza un “genius loci” che, da Nume tutelare, lo protegga da
ogni attentato della natura e dell’uomo e col quale si confonda e si identifichi, che ne sia taumaturgico
patrono e ne coordini ogni strategia di salvezza, immunizzandolo dagli eventi e da fin troppi vili mercenari,
“una nostalgia che non è un sentimento romantico abbellito dal ricordo ma un’arma della memoria contro la
rassegnazione e il disincanto, perché le cose non vadano verso l’inesorabile degrado” (Raffaele La Capria).
Ed ecco perché c’è bisogno di chi sia interprete della memoria collettiva più ancora che di quella personale.
E’ un intero territorio che deve confluirgli nella mente e nei segni, e lui deve fare lo stesso, in un rapporto
circolare, simbiotico, esaustivo, interfacciante, una sorta di infinito “piano – sequenza” alla Anghelòpoulos
Nello specifico, e per proseguire entrando subito, e senza ulteriori anticamere (ancorché sicuramente congrue
nel perimetrare /dimensionare un contesto specifico dell’accostarsi e dell’intervenire professionale) Lecce,
di questi preziosi interpreti, ne possiede, e da tempo, almeno un’illustre ed entusiasta protagonista, ovverosia
articolo della Gazzetta del Mezzogiorno di domenica 16 ottobre 2022
Elisabetta Zappa, la cui notorietà “in loco” è ampiamente testimoniata da diverse attività e molti successi nel
campo artistico e culturale in genere, laddove, pur giovane, da anni si propone e s’impone come artista,
poetessa, fotografa d’architettura e divenuta, nel tempo, apprezzato sinonimo d’un variegato impegno diretto
nella tutela di quell’immenso e straordinario patrimonio monumentale che, da moltissimo tempo, ha
legittimato e consacrato questa bellissima città come la capitale “per eccellenza” del barocco più rinomato.
In particolare, è stata la sua originalissima scelta di dedicarsi, e prioritariamente, alla realizzazione di ormai
moltissime “cartoline d’artista” che ha contribuito in modo determinante ad un riuso, unico e geniale, delle
vecchie “cartoline” (ormai spodestate, per sopravvenute multimedialità e possibilità di fotografare in via
digitale e in assoluta autonomia di scelta, modifica e persino stampa d’ogni tipo di fotografie anche dai
cellulari e comunque grazie, in via esclusiva, alla vera “rivoluzione copernicana” del nuovo impero digitale.
Ben operando su ogni tipo di formato, escludendosi volontariamente, per sua e nostra fortuna, dalle diverse
ma non più appaganti, oleografie (ormai rimosse, salve rarissime, residuali eccezioni, pure da quella che una
volta fu l’esposizione e la vendita, nei pubblici o privati esercizi, e prevalentemente ad uso dei turisti e per
guadagnare qualche spicciolo, delle classiche cartoline “souvenir” da spedire o, chiusosi almeno al 90% il
loro flsso di spedizione tramite affrancature ed intermediazioni postali, almeno regalare ad amici e parenti.
Disdegnosa, in genere, nei confronti di quei campi “totali” delle esistenze storico-monumentali che, per
troppo tempo, pur doverosamente testimoniato il residuale reale, hanno però anche costituito la quintessenza
d’ogni oleografia ad ovvi e bassissimi livelli di creatività e materiale realizzazione e commercializzazione,
Elisabetta Zappa si è dedicata specialmente alla ricerca e divulgazione di scorci e di dettagli dell’esistente,
con stampa in diversi formati, da quello standard “cartolina” a più rilevanti, preferibili e gradite dimensioni,
riuscendo a recuperare, a individuare e a donare nuovi ed inopinati aspetti per nuove e fascinose letture. In
altre parole, se è vero, come lo è, che l’etimo di Fotografia è, denotativamente, “Scrittura della Luce”,
Elisabetta Zappa, più che la solarità o la lunarità d’insieme del ripreso, i cui limiti sono, è ovvio, le distanze
fisicamente imposte per ogni “totale” sempre, e per forza, impietosamente vago nelle lontananze inquadrate,
ha preferito, nelle inquadrature ravvicinate per dettagli e piani, donare visibili “chances” di efficacia e di
fruizione, far emergere nuove ed impensabili “scritture” non solo di generica Luce/Ombra naturale o fittizia,
ma soprattutto di Fulgori e Penombre, di Sfumature ed Evanescenze, di Presenze celate ma subito svelate.
E ciò ha fatto scaturire, molto spesso persino come doverosa ed ineludibile convivenza, la felice intuizione di
corredare tali immagini non solo da una fattuale didascalia, ma da brevi letture poetiche degli esiti visivi,
affidate a vari poeti da lei considerati capaci di sintesi, congruità, efficacia interpretativa, onorando pure me.
Di conseguenza, ha già realizzato un particolarissimo e gratificantissimo “portfolio” per ogni scelta e gusto.
Non ritengo indispensabile qualsivoglia ulteriore digressione, preferendo concludere qui, e con tutti gli
apprezzamenti doverosi e meritati, sia dal punto di vista strettamente tecnico, sia per il vero, alto valore di
ogni sua testimonianza di creatività e di riconsegna a una Luce non solo ottica ma di comprova del tutelare e
del valorizzare territorialmente inteso: carature che, sicuramente, saranno ancora tante volte constatate ed
ammirate dai molti suoi affezionati fruitori, costantemente chiamati, grazie a lei, a entusiasmarsi sempre più
ed a proseguire nella reiterazione della stima e dell’affetto per la sua Arte nonché per quella sua grandissima
simpatia ed “humanitas”, vero e proprio “mix” di affettuosa disponibilità umana e di deliziosa ironia che, da
sempre, le fa riservare, oltre che una solidissima ammirazione professionale, pure tributi di stima e simpatia
che, da sempre e “in toto” condividiamo anche noi, assieme a tutto il nostro affetto che, da sempre, ce l’ha
fatta associare, ad ulteriore e conclusivo encomio in questo nostro intervento introduttivo, laddove ben le si
addice l’atto d’impegno “ad vitam” di Jean de la Bruyère, scrittore e storico francese del ‘600, personaggio,
come lei, di grande ed encomiabile spessore professionale ed umano: “Rendo alla società ciò che mi ha dato:
da essa, infatti, ho preso a prestito la materia di quest’opera; ed è giusto che, dopo averla condotta a termine
con tutto il rispetto della verità di cui sono capace e che essa merita da me, io, adesso, gliela restituisca”.
Prof. Nuccio Mula
scrittore, poeta, giornalista,
docente universitario di Filosofia e Fenomenologia
dell’Immagine e delle Arti Contemporanee,
nonché di Teoria della Percezione e Psicologia della Forma,
componente dell’Associazione Internazionale Critici d’Arte
e dell’Associazione Internazionale Critici Letterari, Parigi, Unesco,
Socio Ordinario dell’ Internazional P.E.N. Club, Sezione Italiana
Agrigento, Settembre 2022.