Scena politico-militare capovolta. Enrico VI torna in Germania “sconfitto” e i tancredini prendono il sopravvento ovunque permettendo a re Tancredi di rafforzare la sua posizione sul trono di Sicilia. Anche a Salerno la situazione s’è invertita; infatti, i cittadini voltano le spalle all’imperatore lontano, e per ingraziarsi il re di Sicilia fanno prigioniera sua moglie Costanza. Ecco lo scenario che si presenta a Salerno.
Nel castello paterno di Terracena, Costanza, ormai, si sente prigioniera nella “sua” casa. Mentre in città le due fazioni si combattono anche per l’incertezza sulla sorte che sarebbe toccata a Enrico VI per le voci contrastanti sulla sua salute; infatti, c’era chi lo riteneva morto e chi invece era semplicemente partito per la Germania. L’imperatrice, come dal titolo della particola XXI, <<Imperialis populo resistenti loquutio>>: ”Il discorso dell’imperatrice al popolo ribelle”, decide di rivolgere la parola ai salernitani prospettando la sua sorte futura nei casi che <<Cesar abit velo bit, vobis ut dicitur; ergo, si placet, exul eam Cesaris orba mei>>: “Cesare è partito o è morto, come vi si dice; e perciò, se a voi piace, andrò esule vedova del mio Cesare” (vv.591-592).
Comunque, l’imperatrice avverte i salernitani di non lasciarsi ingannare dalle lettere e dalle parole dell’Arcivescovo Niccolò d’Aiello, principale diffusore di false notizie sulla condizione di salute di Enrico VI, che insieme a suo padre Matteo divulga solo falsità; infatti, afferma che <<Si presul scripsit, tamen, ut reor, irrita scripsit, hic patrie fraudis curat et artis opus, hic trahit in species scelerum genus omne malorum>>; “Se il presule scrisse, certamente, credo, scrisse cose false. “Questi svolge opera d’inganno e di astuzia propria del padre, questi volge in delitti ogni genere di mali” (vv.597-599). Costanza rincara la dose quando aggiunge: <<Quod patris ora vomunt, filius haurit idem>>: “Ciò che il padre vomita, il figlio ingurgita” (v.600), sconsigliando di fidarsi dell’Arcivescovo, Non ci sono dubbi! Da queste parole emerge una verità assoluta per il poeta: i d’Aiello sono ritenuti i principali nemici degli Svevi e della stessa Imperatrice.
Infine, nel suo discorso ai salernitani Costanza ricorda loro di avere ancora dei fedeli soldati, sia teutonici che del regno, fedeli alla causa sveva; menziona Corrado di Capua e Diopoldo di Rocca d’Arce, pronti a difenderla (v.607) ed esalta anche la fedeltà di Eboli: <<Que sit in Ebolea, discite, gente fides. Ebole, ni peream, memori tibi lance rependam pectoris affectus, que meruere boni>>: “Apprendete quanta fedeltà ha il popolo di Eboli, O Eboli, se non morirò, ti ripagherò nella giusta misura di quel che i sentimenti del tuo nobile cuore han meritato” (vv.616-618), promettendo di ripagarla nella giusta misura se non morirà. Purtroppo, il popolo, indifferente a tali parole, insorge contro di lei ancora con più veemenza. La miniatura raffigura la regina che parla con i salernitani.
In questa particola riemerge il disprezzo dell’Imperatrice per i d’Aiello e l’apprezzamento per la città di Eboli. I versi riportati, introducono un argomento che dovrebbe essere oggetto di discussione per gli studiosi ebolitani. Pietro, a successione dinastica conclusa a favore degli svevi, ebbe in dono dagli imperiali il Mulino di Albiscende come ricompensa della sua fedeltà, espressa da codesta versificazione elegiaca a favore dell’Imperatore. A questo punto, sorge una domanda necessaria: <<In base ai versetti su riportati, avversi ai D’Aiello, Pietro avrebbe potuto realmente donare il mulino di Albiscenda alla Chiesa Salernitana mentre era Arcivescovo Niccolò, andando contro l’animo degli Svevi? È solo una riflessione, lanciata per gli studiosi.
P.S. La traduzione dal latino è del prof. Carlo Manzione, dal libro “De rebus siculis carmen ad honorem Augusti” a cura di Mariano Pastore; mentre l’articolo è tratto dal libro dell’autore, Vittorio Campagna: <<Pietro da Eboli, Vate latino della letteratura italiana>>, de “L’Aurore edizioni”.
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